Il Consiglio di giustizia amministrativa ha restituito a un uomo originario di Belmonte Mezzagno (Palermo) il porto d’armi che gli era stato tolto perché imparentato con mafiosi. Il provvedimento era della prefettura di Palermo e il ricorrente, 60 anni, lo aveva impugnato al Tar e poi di fronte all’organo di appello: determinante, per il ritiro della licenza di tenere un fucile da caccia e le relative munizioni, era stato un rapporto del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo, che aveva sottolineato l'assenza di relazioni tra l’uomo e i parenti pregiudicati per mafia.
Nel ricorso gli avvocati Girolamo Rubino e Daniele Piazza avevano sottolineato, a sostegno della illegittimità del divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplodenti, l’insussistenza di convivenza o diretta frequentazione tra il sessantenne e i parenti. Inoltre era stata evidenziata la mancanza di un’attività istruttoria e la carenza della motivazione.
Il Cga ha così stabilito che «la sussistenza di un mero rapporto di parentela o d’affinità con un soggetto pregiudicato, ma non convivente, non è, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, indice di una capacità di abuso delle armi, dovendo l’amministrazione valutare e rapportare l’incidenza di tali circostanze sul giudizio di affidabilità in relazione alla detenzione delle armi».
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