Palermo

Lunedì 25 Novembre 2024

Mafia e riciclaggio in Brasile, i viaggi di Spadaro a Natal

«I siciliani hanno venti milioni di euro e vogliono investire in Brasile»: nelle chat trovate durante l'indagine sull'omicidio avvenuto nel Paese sudamericano nel 2014 ci sarebbero riferimenti a possibili interessi di uomini vicino alla mafia che vivevano a Natal in quegli anni. I messaggi scambiati sulla piattaforma di messaggistica whatsapp sarebbero stati trovati sul telefono del faccendiere romano Pietro Ladogana, condannato a 18 anni di carcere per l'omicidio di Enzo Albanese, un ex ufficiale dei carabinieri che avrebbe scoperto i suoi traffici e il riciclaggio di denaro in una serie di speculazioni edilizie. Nei messaggi, finiti nell'indagine dei carabinieri per l'omicidio, emergerebbero le attività del faccendiere e più volte farebbe riferimento a siciliani interessati a una fazenda. Ma nelle sue dichiarazioni ci sarebbero anche riferimenti a minacce, non si sa se reali o millantate: «Questi qui sono diventati pericolosi - raccontava Ladogana ad alcuni imprenditori - hanno chiesto di parlare con il clan mafioso più potente che esista in Brasile». Che l’autorità giudiziaria italiana sarebbe vicina ad individuare: l’operazione Arancia infatti è stata possibile anche grazie al coinvolgimento negli affari dei boss siciliani di gruppi criminali locali, che hanno allarmato le autorità brasiliane. Proprio i contatti tra Cosa nostra e la mafia della zona di Natal, dunque, hanno rappresentato la chiave che ha dato il via all’operazione antimafia su larga scala condotta dalla guardia di finanza e la polizia federale brasiliana su disposizione della Procura della Repubblica palermitana e del Tribunale federale del Rio Grande do Norte. Adesso si proseguono le indagini: la Procura sta approfondendo i contatti tra le due compagini e intanto smentisce la voce su una possibile estradizione di Giuseppe Bruno, l’imprenditore bagherese che da tempo si era trasferito a Natal. Per il momento il tema non è in agenda anche perché ne mancherebbero le condizioni. La mafia utilizzava arance e società di comodo per facilitare il movimento e l’occultamento di fondi illeciti provenienti da attività criminali internazionali: soldi che venivano ripuliti nel Rio Grande do Norte, dove si stima che i mafiosi operino da quasi un decennio. Forse anche di più. Antonino Ninuzzo Spadaro, il figlio di don Masino, lo storico boss della Kalsa, già nel 2008 si trovava in Brasile: in quell’anno, intorno al 10 dicembre, fu arrestato sulla scaletta dell’aereo appena atterrato a Malpensa con l’accusa di aver ceduto cocaina a una famiglia di pusher di Casteldaccia. Gli investigatori avevano notificato un mese prima un’ordinanza di custodia firmata dal Gip ma Nino era già volato in Brasile, precisamente a Natal, dove aveva trascorso circa un mese. Gli investigatori già allora sospettavano contatti con alcune bande locali. Al vertice, oggi, il capomandamento di Pagliarelli, Giuseppe Calvaruso, capace di creare un reticolo di interessi economici, affiancato proprio da Bruno e altri imprenditori e professionisti. A loro due sarebbero riconducibili Piramide costruzioni e Immobiliare srl, la cui proprietà sarebbe passata fittiziamente ad altre due società: la Leader solutions sa e la Reignstate properties Ltd. Gli inquirenti stimano che con questo sistema abbiano investito non meno di trecento milioni di Real (circa 55 milioni di euro) infiltrandosi nei mercati immobiliari e finanziari, passando tra la Svizzera, Singapore, Hong Kong e infine il Brasile.

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