Sarebbe partita da un omicidio l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e del secondo tribunale federale del Rio Grande do Norte, che ha permesso di scoprire una vera e propria organizzazione che, da almeno dieci anni, riciclava il denaro della mafia per avviare imprese e infiltrarsi nel mercato immobiliare e finanziario brasiliano. Fiumi di denaro, provenienti per lo più dal traffico della droga, che - secondo le indagini del Gico della guardia di finanza con il coordinamento del procuratore Maurizio de Lucia, dell’aggiunto Marzia Sabella e del sostituto Federica La Chioma - Cosa nostra avrebbe investito a Natal, centro di un milione di abitanti, tra i più violenti e pericolosi al mondo, che però vanta una posizione strategica perché il suo aeroporto garantisce il collegamento più veloce tra l’Europa e il Sud America. Guarda caso, proprio nella stessa città dove hanno scelto di vivere il boss di Pagliarelli, Giuseppe Calvaruso, Nino Spadaro, figlio di Masino, storico capomafia della Kalsa, e l'imprenditore di Bagheria, Giuseppe Bruno, quest’ultimo finito in carcere tre giorni fa. Ma c'era da tempo anche un altro personaggio che era entrato nel mirino della polizia federale brasiliana. Si tratta del faccendiere romano Pietro Ladogana, arrestato dai carabinieri per un inquietante omicidio commesso proprio a Natal. Sarebbe stato il mandante dell'assassinio di Enzo Albanese, un ex ufficiale dei carabinieri, residente anche lui nella città sudamericana, colpevole di avere scoperto i suoi intrallazzi. Ladogana era il procuratore, con potere di firma e rappresentanza, faceva e disfaceva società ad un ritmo forsennato, spostava quote come nulla fosse, vendeva ville e appartamenti con l’ombra del riciclaggio alle spalle. Albanese lo aveva scoperto e voleva denunciarlo, ma la sera del 2 maggio del 2014, mentre rientrava a casa, fu freddato da un killer con sei colpi di pistola. Anche un funzionario del fisco brasiliano aveva portato alla luce le consistenti evasioni delle società di Ladogana e dei suoi soci italiani: solo per un pelo le forze dell’ordine riuscirono ad evitare il secondo delitto. Un episodio che aveva dimostrato quanto Natal fosse il posto perfetto per gli imprenditori ambigui che si mettevano a disposizione della criminalità. Tra questi appunto Ladogana che per la procura distrettuale antimafia - prima di essere condannato nel 2019 a 18 anni di reclusione - avrebbe avuto un ruolo nel riciclaggio dei soldi della mafia assieme ad altri professionisti compiacenti. Il denaro sarebbe giunto a destinazione attraverso sofisticati meccanismi di riciclaggio, basati, tra l’altro, sull’impiego di conti di transito accesi prevalentemente in alcune banche all’estero. Nelle carte sequestrate dagli investigatori brasiliani sarebbero stati documentati i rapporti di Ladogana con Giuseppe Bruno che avrebbe curato gli interessi del boss Calvaruso - girando per il mondo tra Svizzera, Repubblica Ceca, Hong Kong, Singapore e Brasile - in alcune acquisizioni di ristoranti ma soprattutto in un piano di lottizzazione di vastissime aree edificabili a ridosso della costa nordorientale del Brasile. Operazioni in campo immobiliare per la costruzione di resort di lusso che sarebbero state in grado di garantire profitti di eccezionale entità tanto che il valore patrimoniale complessivo, che potrebbe essere stato raggiunto dal complesso degli asset mafiosi negli ultimi dieci anni, sarebbe quantificabile in oltre 500 milioni di euro. Nella foto il cantiere di una lottizzazione a Natal voluta dagli uomini della mafia. Nei due riquadri: sopra il mandante dell'omicidio da cui è partita l'indagine, Pietro Ladogana, e sotto la vittima, Enzo Abanese