Palermo

Domenica 24 Novembre 2024

Le frasi choc dei rapinatori palermitani in Veneto: «Devono vedere la morte davanti agli occhi»

«Abbiamo visto i tre cantieri da fare, li chiamiamo cantieri, adesso vengono loro a farli, non li facciamo mica noi. Quelli là li mandiamo dove ci sono difficoltà maggiori», diceva Guido Badini, 72 anni, originario di Novara, il «grande vecchio» come veniva chiamato in codice finito ora dietro le sbarre, considerato l’ideatore e l’organizzatore della banda che, partendo da Palermo con la nave per Livorno, andava a rubare nelle province di Verona, Brescia e Bolzano. Loro - ovvero quelli là che dovevano andare nei «cantieri» - erano Vincenzo Visconti, 21 anni, che abita al Borgo Vecchio, e tre residenti a Villabate, Giovan Battista Di Caccamo, 54 anni, Ettore Ceraulo, 41, e Giuseppe Tagliavia di 60, cioè la manovalanza reclutata in città per compiere le rapine in trasferta, per lo più ai danni dei proprietari di villette. Sono stati tutti arrestati e rinchiusi al carcere dei Pagliarelli, a Palermo. Del gruppo facevano parte anche un altro palermitano, Sebastiano Galifi, 65 anni, e Massimo Cipriani, 56 anni, nato a Chizzola d’Ala, in provincia di Trento: i due, che svolgevano il ruolo di basisti, vivevano a Rovereto ed erano stati bloccati dai militari di Peschiera del Garda lo scorso 8 aprile. Adesso sono reclusi a Brescia. E proprio la «collaborazione» di questi ultimi aveva permesso di fare luce sull’irruzione, avvenuta il 29 maggio dell’anno scorso a Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona, nella casa di una coppia di anziani. Secondo la ricostruzione, due malviventi si erano finti finanzieri, indossando una pettorina con la scritta guardia di finanza e la placca al collo. Le vittime erano state tratte in inganno dagli abiti e dal distintivo indossati dai due uomini, i quali avevano chiesto di entrare nella loro abitazione per eseguire un controllo. Una volta dentro sono stati raggiunti rapidamente dagli altri due complici palermitani che hanno legato i coniugi al divano con le fascette da elettricista, sotto la minaccia di una pistola semiautomatica e di un taser. I quattro, tre dei quali con il volto coperto da un passamontagna, si erano impossessati di 500 euro in contanti, di una carabina e di una collanina d’oro, del valore di mille euro, strappata dal collo dal marito. E, prima di scappare via, avevano imbavagliato e chiuso all’interno del bagno dello scantinato, i padroni di casa, che alla fine erano riusciti a slegarsi e a chiamare il 112. A inchiodare il commando in missione fuori dalla Sicilia erano state le immagini prelevate dalle telecamere di un parcheggio pubblico vicino al luogo della rapina, in cui si vedevano nitidamente i quattro mentre si preparavano e la targa dell'auto utilizzata in quell'occasione, intestata alla moglie di Galifi. Decisive, inoltre, erano state le intercettazioni telefoniche e ambientali, avviate dai carabinieri di Acqua dei Corsari, che avevano permesso di delineare il coinvolgimento dei palermitani nei colpi segnalati in Veneto e in Trentino Alto Adige. Il loro modus operandi doveva essere violento e risoluto per riuscire ad arraffare un buon bottino: «Bisogna che vedano la morte davanti agli occhi - spiegava uno degli indagati, riferendosi alle vittime dei colpi -. Allora, prima di morire... e gli dici: “Perché vuoi morire, crepare, cretino? Hai ancora appartamenti, terreni, altri soldi da altre parti. Dammi questi che io me ne vado e tu vivi e ti godi gli altri”». La loro pericolosità, come ha scritto nell’ordinanza di custodia il Gip del tribunale di Verona, Marzio Bruno Guidorizzi, «si desume dalla loro radicata appartenenza al mondo criminale», ma anche «dalla spregiudicatezza dimostrata», così come «dall'indifferenza verso le vittime e dall'usuale impiego della violenza, elementi che, letti unitamente ai certificati penali di ciascuno di essi, evidenziano il loro inserimento in un contesto delinquenziale più ampio e collaudato».

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