Si sarebbe dovuto recare lunedì prossimo all’unità di medicina della riproduzione di Sant’Agata Li Battiati, nel Catanese, per poter donare il liquido seminale alla moglie. La coppia è in cura per problemi di fertilità. Essendo detenuto ai domiciliari, aveva bisogno dell’autorizzazione della corte d’appello di Palermo per lasciare l’abitazione in cui deve scontare un anno e cinque mesi, pena residua di una condanna per tentato omicidio. Ma dai giudici è arrivato il no. «Non è una questione di salute», hanno risposto i magistrati a Francesco Paolo Mazzè, 36 anni, di Brancaccio, recluso da 3 anni e 7 mesi. «Una vicenda incomprensibile - commenta l’avvocato Raffaele Bonsignore, che difende Mazzè -. Così di fatto si impedisce a una coppia di avere figli».
Il penalista ha depositato oggi ai giudici della corte d’appello del capoluogo l’istanza in cui si chiedeva che al trentasettenne fosse consentito di raggiungere l’istituto, che si trova in provincia di Catania. Alla richiesta era stata allegato il certificato rilasciato dai medici dell’unità, in cui si scriveva chiaramente che la prestazione si sarebbe dovuta svolgere lunedì prossimo e che la data era «indifferibile».
Ma per i giudici, che hanno risposto a stretto giro, «l’evenienza prospettata non può annoverarsi tra quelle indispensabili di vita che soltanto possono legittimare l’allontanamento dell’imputato dagli arresti domiciliari, peraltro fuori Palermo ed in quel di Catania, non trattandosi, infatti di una esigenza di salute in senso stretto, men che meno grave e urgente».
Non la pensa così il legale dell’imputato, che sta valutando le forme per ricorrere contro la decisione. Difficilmente visti i tempi stretti della prestazione, però, la vicenda potrà risolversi positivamente per il suo assistito.
Francesco Paolo Mazzè è finito sotto processo per avere colpito con un coltello, nell'agosto del 2020 davanti al mercato ittico di Palermo (nella foto), un trentenne, intervenuto per difendere il fratello, con il quale Mazzè stava litigando. Un fatto grave che avrebbe potuto provocare la morte della persona offesa, ferita all’addome con tre coltellate. In primo grado i giudici l’hanno condannato a 9 anni. Il legale ha fatto ricorso in appello ottenendo uno «sconto» di pena di 4 anni. L’imputato ha già scontati 3 anni e sette mesi.
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