La nuova campagna di Addiopizzo sul malaffare nella movida di Palermo: ecco come la mafia mette le mani sui locali
Dal pizzo chiesto ai commercianti ai nuovi metodi dei clan mafiosi, che non chiederebbero più soldi, ma sarebbero addirittura loro a fornirli per aprire nuovi locali o per salvare le imprese in crisi di cui poi diventano soci. Negli ultimi tempi l’attenzione di chi indaga si starebbe concentrando su alcune piccole imprese e sui flussi di denaro che hanno rivoluzionato la conformazione di alcune zone del centro storico, dove sono spuntati come funghi una miriade di negozi, gran parte dei quali connessi alla ristorazione. L’obiettivo di questo meccanismo si svilupperebbe quando la concessione del credito risulta particolarmente rischiosa, e quindi costosa, per alcune aziende. Un’occasione ghiotta per Cosa nostra che - sostituendosi alle banche – entrerebbe nell’economia legale per mettere le mani su ristoranti, pub, friggitorie, bar, birrerie, pizzerie e «putìe» di abbigliamento, souvenir e prodotti tipici siciliani oltre ad avere a disposizione contanti puliti per poi reinvestirli nei vari business delle organizzazioni criminali, a partire dal traffico della droga. Il sistema non è affatto nuovo, ma le sue dimensioni potrebbero essere più estese di quanto si credeva finora. Lo stesso procuratore capo, Maurizio de Lucia, aveva avvertito che «i mafiosi - è un passaggio della sua intervista al Giornale di Sicilia - riflettono bene su quali sono i loro obiettivi, cioè vanno solo da chi ha dimostrato disponibilità nei loro confronti, tenendosi lontani da quelli che potrebbero denunciarli. Anche l’approccio è cambiato: cercano di non essere violenti per evitare di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine». E non a caso, nei nuovi adesivi attaccati ieri notte per festeggiare i vent’anni dalla sua nascita, Addiopizzo ha cambiato la sua comunicazione lanciando un nuovo messaggio che, questa volta, mette nel mirino la «night economy», il cui fatturato è cresciuto a dismisura e non accenna a fermarsi, con al centro i luoghi della movida e soprattutto le strade chiuse alle auto che oggi rappresentano una delle mete preferite dove, palermitani e turisti, spendono per mangiare, divertirsi, fare shopping e anche per tante altre attività che fino a ora erano svolte prevalentemente di giorno. «Quale economia in via Maqueda? Quale economia in corso Vittorio Emanuele? Quale economia in via Amari? Quale economia in via La Lumia?» recitano i i testi dei quattro manifesti che hanno tappezzato le vie della città, la cui vocazione è ormai prettamente turistica. Da Brancaccio alla Noce, da San Lorenzo a Resuttana e ai Pagliarelli, i volontari sono tornati a fare il loro attacchinaggio «per il centro storico tra via Maqueda, corso Vittorio Emanuele, via Emerico Amari e via Isidoro La Lumia - scrive Addiopizzo in una nota - dove negli ultimi dieci anni si è registrato un cambiamento urbanistico, produttivo e sociale il cui impatto non ha precedenti nella storia della città. Un mutamento da cui si è generata una nuova ed importante economia che ha il proprio perno nella fruizione turistica dei luoghi del centro storico. Strade dalle quali, oltre a rinnovare il nostro messaggio storico, desideriamo rivolgere e condividere una domanda, tutt’altro che retorica, con l’opinione pubblica, il tessuto economico e la classe politica di questa città. Senza pretesa di dare risposte ma con la volontà, anche stavolta, di aprire una riflessione». L’interferenza della criminalità organizzata nell’economia legale non è però il solo aspetto che gli investigatori stanno approfondendo: l’altro filone di indagini riguarda il tema della «malamovida» fuori controllo e delle misure da adottare per evitare che si scatenino risse e pestaggi com’è accaduto di frequente nei mesi scorsi. Una delle ipotesi è che alcune di queste possano essere collegate a bande di quartiere pronte a sfidarsi per futili motivi e a baby-gang, i cui componenti credono di poter rimanere impuniti proprio a causa della loro età. Fino a poco tempo fa, infatti, un minorenne che aveva commesso reati gravissimi poteva chiedere la messa in prova, ricevendo un trattamento diverso rispetto a un adulto che si era macchiato degli stessi delitti, ma, con l’introduzione del cosiddetto decreto Caivano, non è più così perché sono state inasprite le pene anche per chi ha meno di 18 anni.