L’avvocato e ricercatore universitario aggredito in piazza Massimo, a Palermo, parla con la consapevolezza che sarebbe potuto «succedere di peggio», ma, allo stesso tempo, rivendica con orgoglio il fatto di non essersi girato dall’altra parte perché «bisogna denunciare quando si vede qualcuno che sta commettendo un’illegalità». Non ha paura di ritorsioni ma non vuole rivelare il suo nome perché ritiene che non sia importante sapere da chi venga la denuncia e soprattutto vuole evitare strumentalizzazioni.
L’ha aiutata qualcuno?
«Non c’era nessuna pattuglia delle forze dell’ordine, eppure è successo davanti al Teatro Massimo, di fronte a tantissime persone. Non è la prima volta, che io sappia, in particolare nel centro storico e nei luoghi della movida».
C’era il Pride, sabato: molte pattuglie erano impegnate.
«Di solito l’auto della polizia o dei carabinieri è sempre presente su un lato della piazza, questa volta non c’era. Secondo il mio punto di vista, che è quello di un semplice cittadino, forse un maggiore controllo del territorio sarebbe utile, per evitare situazioni come quella in cui sono stato coinvolto. Ognuno di noi, però, deve fare qualcosa in più affinché certe situazioni non accadano. Oltre al sottoscritto, l’unico a richiamare quei ragazzini è stato un senzatetto che staziona in via Ruggero Settimo: mi ha stupito molto osservare che a tenere di più al decoro urbano sia stato proprio lui, che vive in strada, e non i tanti che sono passati senza dire nulla».
Quando l’hanno presa di mira?
«Erano circa le 21.30 quando stavo rientrando a casa con la mia fidanzata. Ho visto un gruppetto di sei o sette giovanissimi, credo minorenni dall’aspetto fisico, che erano piegati su un monopattino, maneggiando un cacciavite, e per questo ho detto loro di smetterla. Non li ho offesi, ho solo gridato: “Che state facendo?”. Mi hanno insultato e sono andati via, pensavo quindi che fosse finita lì. Invece, me li sono ritrovati di fronte all’altezza del Teatro Massimo, solo che stavolta erano di più e per giunta spalleggiati dagli adulti e da un paio di donne. Non ho avuto nemmeno il tempo di discutere che mi hanno messo in mezzo prendendomi a pugni e a calci. Ho cercato di reagire, anche perché sono uno sportivo, alto un metro e 90, ma erano in troppi e, alla fine, quando si sono staccati, avevo la faccia piena di sangue e il naso rotto. Gli esami hanno stabilito che dovrò essere operato».
Ha avuto paura?
«In realtà sono amareggiato, perché non eravamo in una strada isolata ma in pieno centro, per giunta alle nove di sera e non a notte inoltrata. Più che per me, ero preoccupato per la mia fidanzata, che era terrorizzata e piangeva vicino a me. Nonostante fossi scosso, però, ho preso il telefono cellulare e ho cominciato a riprendere chi mi aveva attaccato in modo che le forze dell’ordine potessero individuarli e rintracciarli».
In effetti, è tutto documentato nelle immagini in cui lei chiede ripetutamente di chiamare la polizia e loro non vanno via.
«Sono rimasti ad aspettare gli agenti perché erano convinti che fossi stato io a commettere un reato, cioè quello di avere fotografato i minorenni mentre armeggiavano sul monopattino. Una sorta di ribaltamento della realtà. Ovviamente, la polizia li ha identificati: per quanto mi riguarda, ho fatto solo il mio dovere».
Nel video i momenti della discussione dopo l'aggressione ripresi dal ricercatore: volti e voci sono stati camuffati
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