Mimmo Russo nelle sue campagne elettorali aveva l’appoggio di Biagio Seranella, detto Massimo. Se c’era da azzerare i candidati avversari, togliendo i loro manifesti, ci pensava lui, all’epoca solo indagato e poi condannato con sentenza divenuta definitiva, nel 2020, per avere gestito un traffico di stupefacenti in tutta la Sicilia, in nome e per conto di Alessandro D’Ambrogio, reggente di Porta Nuova, e del fratello Antonino Seranella. Un appoggio forte, incondizionato. Che non era il solo, come emerge dall’inchiesta che l’altro ieri a Palermo ha portato in carcere Girolamo Russo, da tutti conosciuto come Mimmo, ex consigliere comunale di Fratelli d’Italia, e agli arresti domiciliari il faccendiere massone Achille Andò e Gregorio Marchese, figlio del killer di corso dei Mille Filippo, detto Milinciana, pluriergastolano e detenuto dagli anni della guerra di mafia. L’aiuto di Seranella a Mimmo Russo, secondo la ricostruzione dei pm Francesca Mazzocco e Andrea Fusco, validata dal gip Walter Turturici, risale alla campagna per le elezioni al Comune del 6 e 7 maggio 2012. L’esponente di Cosa nostra si era occupato della distribuzione delle locandine e dell’affissione dei manifesti elettorali. «Questo impegno conferma - scrive il gip - come Seranella, notoriamente inserito in un contesto mafioso, fosse un fidato uomo del Russo a tutto campo». Russo era spietato. Proprio a Seranella aveva ordinato di distruggere tutti i manifesti elettorali degli avversari politici. Nel marzo 2012, nel pieno della campagna, i carabinieri intercettano una conversazione tra i due. Seranella chiama Russo e gli dice: «Vedi che sono rimasto senza locandine, quando ti dico una cosa non mi ascolti mai». E Russo rispondeva: «Ma gioia mia che ti ho detto io? Qual è il problema? Ti ho detto che le faccio stampare, lunedì immancabilmente ce le avrai». Il servizio completo di Giorgio Mannino sul Giornale di Sicilia in edicola