Palermo

Giovedì 21 Novembre 2024

Sguardi e gesti, così il «Gom» studia il codice criptato dei boss

Messina Denaro nel giorno del suo arresto

Dopo l’arresto di un capo mafia cominciano le loro indagini tra le celle del carcere duro. Negli istituti penitenziari si svolge da venticinque anni la raccolta di dettagli impercettibili che servono a decifrare i messaggi in codice dei boss dietro le sbarre: dalla movenza delle mani agli sguardi, fino al modo di indossare una maglietta. il Gruppo operativo mobile, reparto specializzato della polizia penitenziaria destinato alla custodia e allo spostamento dei detenuti sottoposti al regime speciale del 41 bis, in questo momento è alle prese con 724 detenuti eccellenti. Da Michele Zagaria a Totò Riina, ne hanno sorvegliati giorno e notte finora 2.135 in tutto: uno degli ultimi è stato Matteo Messina Denaro, per il quale gli agenti del Gom - grazie alle loro osservazioni - hanno fornito in pochi mesi diversi elementi alla magistratura. «Ciò che succede all’interno delle celle del 41 bis si proietta sempre fuori, perché le organizzazioni criminali hanno la necessità di mantenere i contatti con l’esterno - spiega Augusto Zaccariello, 58 anni, direttore del Gom - Per questo il nostro è un lavoro di osservazione e di analisi meticolosa. I detenuti sono già sottoposti all’ascolto di colloqui o telefonate in carcere e al controllo della corrispondenza: di questo loro ne sono consapevoli, la sfida è riuscire a comprendere il loro modo di trasmettere informazioni. Si tratta di un linguaggio criptato ovviamente non scritto né parlato, esclusivamente paraverbale». Dal tipo di saluto, tra detenuti oppure con i familiari, alle espressioni del viso o movimenti: tutto passa sotto gli occhi e l’esame degli osservatori del Gom, che ne interpretano i significato. «Attraverso questo tipo di indagini su segni e piccoli atteggiamenti riusciamo anche a capire di alleanze tra organizzazioni o frizioni interne», sottolinea i capo del Gom. Sui 724 reclusi al 41 bis, solo quattro sono ex terroristi politici, gli altri 720 sono esponenti di vertice delle mafie ed hanno una età media tra i 45 e i 50 anni: prevalgono numericamente gli appartenenti alla camorra, seguiti da quelli di Cosa nostra, ‘ndrangheta e stidda. Nei loro momenti di socialità possono dividersi in gruppi isolati di massimo quattro persone. «I criminali della malavita tra di loro sono solidali e a differenza degli ex terroristi, che dimostrano apertamente la loro avversione allo Stato, dai clan in carcere c’è un apparente rispetto delle istituzioni, spesso finalizzato a non perdere eventuali benefici di cui potrebbero godere, uno dei loro principali obiettivi». Fin dal 1983 a Poggioreale, nella sua lunga carriera di agente di fronte a quelle celle, Zaccariello ha scolpiti nella mente gesti e movenze dei grandi capi mafia. E ricorda: «ciò che per me resta indimenticabile sono i loro sguardi. Del resto i boss delle cupole si limitavano solo al buongiorno e al buonasera». Ma come tanti servitori dello Stato, anche tra gli agenti del Gruppo operativo mobile c’è chi ha pagato le conseguenze del proprio impegno. «Da Pasquale Campanello a Michele Gaglione e purtroppo tanti altri colleghi uccisi, diversi colleghi sono diventati obiettivi simbolo per le organizzazioni criminali. Forse siamo gli agenti che lavorano di più all’ombra». Un compito dove l’occhio degli agenti va oltre la vigilanza, fino a svelare progetti e trame delle cupole, nascosti nel linguaggio in codice del corpo dei mafiosi.

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