«Conoscevo bene Mario Francese sin da quando iniziai la mia attività giudiziaria a Palermo, vale a dire dal 1959. Conservo di lui un ricordo carissimo, legato agli anni più intensi e sofferti della lotta contro la mafia, gli anni tra il ‘62 e il ‘71, e ricordo che Mario Francese, insieme col povero Mauro De Mauro, era uno dei cronisti che con più passione e interesse seguivano il mio lavoro. Era un uomo libero, un giornalista coraggioso, onesto e appassionato al suo lavoro. La sua morte violenta non può che essere la conseguenza di un’azione vile, quanto mai, consumata ai danni di un cittadino che ha avuto soltanto il torto di operare così come credeva che fosse giusto operare». Cesare Terranova si espresse così su Mario, il nostro Mario Francese, a caldo, poche ore dopo l’omicidio del cronista giudiziario del Giornale di Sicilia. La sua dichiarazione, che in poche righe fotografa una vita intera, uscì sul nostro quotidiano il 27 gennaio 1979, la mattina dopo il delitto di viale Campania. Otto mesi quasi esatti dopo sarebbe toccato anche a lui, Terranova, il coraggioso magistrato che, in anni che non erano questi, da Roma era tornato a lavorare a Palermo come giudice istruttore, per continuare il lavoro su quei mafiosi emergenti che arrivavano, sgomitando a colpi di mitra, da Corleone. Finendo morto ammazzato in via De Amicis con Lenin Mancuso. Era il 25 settembre di quell’anno tremendo che sarebbe stato il 1979 (e non avevamo ancora visto l’80, e l’81, e l’82 e così via fino al 1992 e al 1993): due mesi prima, il 21 luglio di 45 anni fa, era stato ucciso anche Giorgio Boris Giuliano, al bar Lux, di mattina presto. Giuliano, vicequestore e dirigente della Squadra mobile, era stato tra i primissimi ad accorrere in viale Campania dopo l’omicidio del nostro Mario, aveva dato lui la tremenda notizia a Giulio Francese, il figlio giornalista che era a casa e, dopo avere sentito i colpi in strada, avendo capito che era stato commesso un omicidio, aveva subito chiamato il padre, al giornale. Ma non perché temesse qualcosa: voleva solo dargli la notizia, qualcuno era stato ucciso sotto casa loro. Destino assurdo, beffardo. Ieri sui social Giulio ha rivolto un pensiero al padre: «Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado - ha scritto -. Sono state le tue ultime parole, il saluto di sempre, rivolte ai colleghi prima di lasciare il giornale. Mi piace ricordarti così, con questa battuta e pensare a quell'ultimo sorriso con cui sei andato incontro alla morte». Il Giornale di Sicilia uscito poche ore dopo il brutale delitto riuscì a contenere notizie su notizie su quel che era accaduto e su chi era Mario. La cronaca fu di Giuseppe Sottile, c’era un pezzo di Oreste Barletta sulle due volte in cui la morte aveva sfiorato Mario, un servizio di archivio scritto dallo stesso Francese, che aveva assistito in una bettola del Capo a un triplice omicidio, una sintesi delle inchieste giornalistiche del cronista ucciso, autore Felice Cavallaro, il ricordo dei colleghi realizzato da Salvatore Scimè, note sindacali di condanna e cordoglio e la testimonianza di Cesare Terranova. Tutto in una notte, con mezzi tecnologici che non erano quelli di oggi, l’intero giornale si mise a disposizione nel dolore: nella memoria di questo quotidiano, ancora orgogliosamente qui in via Lincoln, anche la smorfia tragica di Armando Vaccarella mentre sollevava il lenzuolo che pietosamente copriva il cadavere. Era un venerdì, come oggi, il 26 gennaio 1979. Sul giornale di domenica ci furono interventi di quasi tutta la redazione, dal direttore Lino Rizzi a Marina Pino, che fece il pezzo sulla famiglia, ancora Barletta e Cavallaro (pezzo dal titolo significativo, Fu il primo cronista giudiziario a seppellire lo stile del cancelliere). Ci fu un’intervista a Terranova e una pagina intera, la terza, con un memorabile titolo a nove colonne a corpo ottanta, Il nostro Mario, venne sottratta alla cultura (allora si usava così) per raccogliere i ricordi di tutti coloro che se la sentirono. Un po’ come, purtroppo non tanti anni dopo, fu fatto dalla redazione «moderna» per salutare il caporedattore Giovanni Rizzuto, anche lui fra gli autori di quei pezzi di memoria per Mario e scomparso nel 2012. Affiorano dagli archivi foto antiche, incredibilmente inedite: un giovane Mario Francese testimone di nozze dell’avvocato Franco Inzerillo, principe del foro di Palermo che ha compiuto 83 anni pochi giorni fa: «Ci conoscevamo da prima - dice Inzerillo, ritratto accanto alla moglie Maria Faso, anche lei scomparsa - e poi ci eravamo ritrovati al palazzo di giustizia. Lui era sempre lì ma la nostra amicizia risaliva agli anni della giovinezza e nonostante la differenza di età, 16 anni, eravamo molto legati». Era il 16 settembre 1969, quando ci fu quel matrimonio. Chi scrive questo pezzo raccolse poi - molti anni dopo la morte di Mario - il testimone della cronaca giudiziaria al Giornale di Sicilia, lavorando con Inzerillo e tanti altri avvocati e magistrati. Però qui il cronista non vuole ricordare se stesso ma quei giorni di gennaio ‘79 in cui Leoluca Bagarella sparò alle spalle del collega. In una città che si sforzava di abituarsi a ogni sorta di nefandezza mafiosa, quel delitto colpì in modo particolare: i giornalisti non erano così a portata di mano come oggi, fra tv, new media e social, e dopo lo choc del rapimento senza ritorno di De Mauro, Palermo perse anche Francese. A tutti sembrava una persona perbene e non capimmo. Due giorni dopo l’omicidio, allo stadio della Favorita, ci fu Palermo-Udinese: finì 0-1, con gol di De Bernardi. La società dedicò un minuto di silenzio a Francese. Il cronista - allora studente liceale - c’era e ci fu chi fischiò, abitudine vergognosa a cui oggi non si fa più caso ma che allora denotò il risentimento, il rancore dell’altra Palermo, quella infiltrata, melmosa, abituata alla palude. Nemmeno quella Palermo comprese però cosa stesse accadendo, quale schifo montasse dalle campagne insanguinate in cui Mario aveva lavorato, calpestandole materialmente, quelle zolle, per ricostruire delitti, affari, interessi mafiosi. Non si capì nemmeno un mese e mezzo dopo, quando un’altra immagine choccò la città: le emittenti private, fra queste anche Tgs, diedero la notizia dell’omicidio del segretario provinciale della Dc, Michele Reina. Il ricordo, nitido, è di un uomo inchiodato al volante della sua auto, il volto freezato sui teleschermi, il capo reclinato all’indietro, un rivolo di sangue che colava dalla bocca, gli occhi sbarrati. Francese, Reina, Giuliano, Terranova, di lì a poco Mattarella e tutti gli altri. C’era la guerra e non l’avevamo capito. E la guerra, forse il colpo di Stato corleonese, come fu definito, erano cominciati con l’assalto all’informazione, con Mario Francese. Il nostro Mario.