Lotta alla mafia, Frasca: «Dallo Stato risposte insufficienti, dopo Messina Denaro si aprono nuovi scenari»
«L’arresto di Matteo Messina Denaro, per il quale appena un anno fa tutte le istituzioni di questo Paese hanno espresso grande soddisfazione, non è stato solo l’approdo di lunghi anni di defatiganti indagini delle forze di polizia coordinate dalla procura della Repubblica di Palermo, ma è divenuto anche un punto di partenza perché ha aperto nuovi scenari al fine di individuare, mediante indagini sempre più complesse e articolate soprattutto quando investono le operazioni finanziarie, la rete di protezione che ha consentito la latitanza e di scoprire le fonti di ricchezza del latitante stesso e dell’organizzazione». Lo afferma il presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca, nella relazione che presenterà domani sull'amministrazione della giustizia nel distretto, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Secondo Frasca nonostante il successo della cattura del latitante «lo Stato dà risposte insufficienti agli apparati investigativi che cercano di svelare le nuove linee strategiche della mafia. Pochi mesi fa era stata pubblicata solo una parte dei posti vacanti nella Corte di appello, peraltro neppure coperti e neanche uno di quelli della Procura Generale. Cosa nostra non è stata ancora debellata e conserva un forte radicamento nei territori del distretto che ne costituiscono l’epicentro, con la conseguenza che è necessario destinarvi risorse adeguate per un’efficace azione di contrasto anche in sede giudiziaria». In linea generale, secondo il presidente, sarebbe necessaria «una progettualità complessiva e autentica che, però, richiede un’azione sinergica, una serena cooperazione e un fisiologico confronto tra i poteri dello Stato. Purtroppo - aggiunge - riemerge invece, con esacerbante ciclicità che spesso prescinde dalle contingenti maggioranze politiche, una logorante contrapposizione con la politica che assume le connotazioni e i toni dello scontro istituzionale. Uno scontro che certamente non è né voluto né alimentato dalla magistratura, che continua nella intransigente difesa dei principi costituzionali e nella coerente denuncia pubblica dei rischi che derivano da questo o quel progetto di riforma o anche dalla mancata adozione degli interventi necessari». A tenere banco anche il tema delle intercettazioni che si vorrebbero «limitare - dice Frasca - in nome dell’esigenza di tutela della riservatezza degli indagati e degli estranei alle indagini e della necessità di contenimento della spesa pubblica, ritenuta troppo elevata». «Le intercettazioni, in tutte le sue forme, anche quelle più invasive consistenti nel captatore informatico, il cd. trojan, sono - afferma - uno strumento di ricerca della prova rivelatosi insostituibile e decisivo per l’accertamento dei reati». E la spesa per le intercettazioni, «alla quale anche di recente il ministro della Giustizia ha fatto riferimento, non solo non è così elevata come potrebbe pensarsi ma è ampiamente neutralizzata dal valore dei beni recuperati a seguito delle condanne e delle confische pronunciate grazie proprio alla prova dei reati acquisita mediante le intercettazioni: un rapporto costi-benefici del tutto favorevole che non dovrebbe giustificare alcuna preoccupazione al riguardo». Affermare, poi, che le limitazioni delle intercettazioni non riguardano i reati di mafia, «significa sottovalutare pericolosamente il fatto che i reati contro la pubblica amministrazione e principalmente la corruzione, sono diventati uno degli strumenti privilegiati da Cosa nostra per la sua attività criminale. La corruzione danneggia la buona amministrazione, altera la competizione delle imprese, soffoca l’economia, ostacola la crescita, incide sull'uguaglianza sociale, erode la fiducia nello Stato».