C’è un intervallo di venti minuti tra il gesto omicida di Sisinia Fanni e la prima chiamata nella quale al fratello confessa di aver ucciso la figlia Maria Cirafici, nella sua abitazione a Palermo in via del Visone. Cosa ha fatto la donna in quel lasso di tempo? Lo racconta agli inquirenti la stessa notte in cui viene interrogata: «Mi sono preparata le mie cose perché ho pensato che mi arrestano e mi portano in galera». Freddezza e apparente lucidità. Fanni sapeva a quale destino andasse incontro. C’è un altro aspetto inquietante in una storia drammatica che racconta anche il fallimento del servizio sanitario e in particolare quello dedicato alle cure psichiatriche: Fanni ha anche preparato la figlia dopo averla uccisa. Le ha intrecciato le mani e tra le dita ha posato una coroncina di rosario. In quella stanza tutto era in ordine, «nulla - scrivono gli inquirenti - lasciava intendere che all’interno vi potesse essere stata un’aggressione o una lite».
Fanni racconta come avrebbe ucciso la figlia: «Era coricata sul divano e io ero sulla poltrona. Lei mandava messaggi in maniera frenetica. Mi sono alzata e ho chiesto di smetterla. Poi mi ha detto di prepararmi perché voleva uscire. Le avevo già dato le gocce che mi aveva indicato il medico ma lei ha continuato. Sono andata nello sgabuzzino, ho preso la prolunga e l’ho girata più volte al collo. Non ha avuto nessuna reazione. Non ha sentito niente perché già era intontita dalle gocce».
La donna potrebbe anche aver ecceduto nelle dosi per stordire la figlia e limitare al minimo la sua resistenza. Ma è un'ipotesi inquietante, come quanto è seguito dopo il delitto. Sisinia, ben consapevole del suo gesto, ha preparato la valigia per il carcere.
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