Palermo

Mercoledì 25 Dicembre 2024

Il filosofo catanese Caffo a processo per maltrattamenti sull'ex compagna, parla l'imprenditore palermitano padre della ragazza

Il Palazzo di giustizia di Milano (foto di Daniele Mascolo/Ansa)

«Quando mi ha messo le mani al collo ho pensato di morire»: è quanto la ex compagna di Leonardo Caffo, il filosofo catanese di 35 anni imputato a Milano per presunti maltrattamenti aggravati nei confronti della giovane, avrebbe detto al padre nell’estate di due anni fa. L’uomo, imprenditore di Palermo, citato come testimone al processo davanti alla quinta sezione penale del Tribunale, rispondendo alle domande del pm Francesca Gentilini, ha ricordato di quando, nel luglio 2022, con la decisione di presentare denuncia, ci fu un confronto in un bar milanese tra lui, la figlia e Caffo, tuttora sottoposto a una misura cautelare di divieto di avvicinamento e dell’allontanamento dalla casa di lei. Fino a quel momento la figlia non gli aveva detto nulla. L’uomo ha poi spiegato ai giudici che due episodi ben precisi risalenti agli anni precedenti - un dito «rotto» e un piede «contuso» per un «calcio» - la ragazza li aveva giustificati come incidenti, uno domestico e l’altro con una caduta in moto. In quell’incontro invece, ha proseguito il teste, «con le lacrime agli occhi», la ragazza raccontò tutto: Caffo «le diceva di buttarsi dal balcone, che era una nullità, - ha riferito l’uomo, riportando le sue parole - io un mafioso e sua madre una mantenuta». E poi che, qualora lo avesse denunciato, «l’avrebbe fatta prendere per pazza» o anche «l’avrebbe uccisa». Accuse scritte anche nel capo di imputazione, a cui allora, come oggi, Caffo, replicò affermando che nulla «era vero». Nel controesame, i difensori del filosofo, gli avvocati Filippo Corbetta e Romana Perin, hanno prodotto alcuni messaggi Whatsapp che il padre della giovane aveva scambiato con il loro cliente nel 2019, all’inizio della relazione sentimentale. Con il filosofo che manifestava apertamente i suoi sentimenti e le sue «preoccupazioni» per lei per via, si evince dai testi, di una cena con un’altra persona. Oggi la difesa si è vista respingere dal collegio la richiesta di celebrare il processo a porte chiuse. I legali hanno dunque chiesto di investire la Consulta ma hanno ottenuto un secondo «no», in quanto la questione secondo il tribunale è «manifestamente infondata». Si ritorna in aula il 30 gennaio con la deposizione della donna che ha denunciato i maltrattamenti aggravati.

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