Si stima che a Palermo siano circa un centinaio gli edifici di particolare pregio storico-artistico dalla pelle eclettica e liberty, a essere stati immolati sull’altare di quell’idea distorta di progresso che antepose il profitto economico al valore della tutela e dunque della memoria e ancora della bellezza. Le arterie urbane iconiche di quelle atmosfere eleganti e raffinate, messe in scena durante la stagione aurea dell’«età dei Florio» e dunque le vie Libertà e Notarbartolo, vennero stravolte da una vera e propria sostituzione tipologica che, devastando il misurato spazio pubblico derivante da edifici quasi sempre posti al centro di rigogliosi giardini privati, finì per alterare l’estetica urbana. È cosa nota: al posto di villini e palazzi da pigione di altissimo pregio monumentale, per l’interezza del lotto resosi disponibile da ogni singola demolizione, durante il sacco edilizio sorsero, complici decisive norme urbanistiche orientate da una politica compiacente, condomini invasivi con cubature mai viste prima, appetibili per l’intera catena produttiva, dal costruttore al professionista, dal politico al proprietario. Fu, questo modello «sostitutivo», posto in essere sotto gli occhi silenti di tutti a imperare per ogni edificio scomparso; per tutti ma non per il più noto: Villa Lanza Deliella a piazza Crispi, a tutti nota come piazza Croci. Molto è stato detto e scritto da quando lo splendido edificio venne smantellato pezzo dopo pezzo in poco meno di una settimana, davanti allo stupore misto a incredulità di molti abitanti, abituati a goderne del tipico aggraziato prospetto turrito. Successe a Rosa Rutelli, figlia del costruttore della villa e nonna dell’architetto Lelia Collura, quest’ultima per anni in organico al Comune e di stanza a Villa Trabia, luogo intimamente legato alla vicenda demolitiva in quanto, da una ricostruzione plausibile e da un recente sopralluogo interno al parco pubblico, sono affiorati cumuli sospetti di detriti edili compatibili con rapide sortite di camion pesanti. Emergono, affastellati a riempire cave pregresse, conci di biocalcarenite compatibili con la struttura portante in muratura, frammenti di tegole e piastrelle ma soprattutto - ed è qui l’indizio più suggestivo - plurimi elementi di rivestimento marmoreo trattati alla maniera «basiliana» e dunque con la superficie sbozzata e non-finita, stretta tra la regolarità del solco perimetrale, quasi a contenerne la massa così emergente, compatibili con quelli ancora esistenti lungo il muro perimetrale della villa demolita. È una firma che rappresenta un indizio, non ancora una prova, ma al contempo pone domande. Ma come si spiegherebbe l’eventuale presenza di detriti nel parco pubblico, distante circa trecento metri, in linea d’aria, da piazza Croci? Villa e parco furono acquistati dal Comune soltanto nel 1984, a circa trent’anni dalla morte di Raimondo Lanza di Trabia, tra gli ultimi proprietari del fondo e cugino di Francesco Lanza di Deliella, proprietario della villa demolita nel 1959. Difficile ricostruire con esattezza quei giorni di quasi sessantacinque anni fa; come ricordato da Fabio Florio, figlio di Francesco, costruttore che demolì la villa su mandato della proprietà, gli operai che vi lavoravano sono tutti scomparsi. Ma le parole dell’architetto Lelia Collura meritano sicuramente d’esser tenute in considerazione: «Anni fa - racconta - quando mi occupavo delle ville storiche e lavoravo a Villa Trabia alle Terre Rosse, qualcuno passando per il viale della catena mi raccontò che quei conci in tufo che riaffioravano tra la vegetazione incolta erano le rovine di villa Deliella. Poche le notizie che sono riuscita a raccogliere per verificare se questa storia fosse vera, ma sembra proprio che nelle fatidiche notti di quel novembre del 1959 venne dato ordine ai custodi della villa di lasciare aperto il grande cancello di piazza Luigi Scalia e di non fare caso ai diversi mezzi che più volte sarebbero entrati per scaricare cumuli di macerie. Alla base di questo avvenimento sembra ci sia stato una sorta di mutuo soccorso tra i proprietari delle due ville, amici e imparentati tra di loro. Di fatto, lungo i viali di Villa Trabia non era difficile imbattersi in resti di antiche piastrelle, di marmi e più raramente anche di piccole porzioni di cornici, torelli ed elementi decorativi». Tutti elementi ancora oggi visibili, riscontrabili e meritevoli di un’accurata indagine esplorativa da parte delle autorità competenti e politiche. Serve alla storia della città e a quella del «Sacco», per completezza, per chiudere pagine ingrigite dal tempo e - perché no? - per riaprire il sano dibattito sul futuro dell’area abbandonata dopo le promesse del museo siciliano del Liberty, là dove sorgeva la villa progettata da Ernesto Basile.