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«Non sono mafiosi nigeriani», tutti assolti a Palermo i tredici indagati

Il processo era scaturito da un'operazione, compiuta quattro anni fa dalla squadra mobile, per i giudici però non si può configurare l'associazione

Una delle tredici persone fermate nell'ambito di un'operazione denominata "No Fly Zone" per disarticolare un clan nigeriano, denominato "Eiye", ramificato su tutto il territorio nazionale, Palermo, 4 aprile 2019.ANSA

In città la mafia nigeriana non c’è. Lo hanno messo nero su bianco il presidente della quarta sezione penale del Tribunale, Bruno Fasciana, e i giudici Daniela Vascellaro e Giangaspare Camerini, che hanno assolto i 13 imputati (Ehigiator Osabuohien, Omo Charles, Aleh Victor, Atuke Evans, Austin Solomon V, Eboigbe Paul, Brown Richard, Ostin Eric, Emma Ekele, Usobor Omoniyi (alias Usobor Ommoniyi o Usobor Omoniyi Saturday), Esene Innocence, Patrick Bertram e Sandra Ekinadoese) a cui era stato contestato il 416 bis, lo stesso reato attribuito agli affiliati di Cosa nostra, disponendo così la libertà per chi era detenuto e la fine dell'applicazione dell'obbligo e del divieto di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria. Per i soli Aleh Victor e Austin Solomon è scattata la condanna a un anno e sei mesi di carcere per spaccio di droga e a otto mesi per Ostin Eric per una rapina con violenza e minacce.

Il processo era scaturito da un'operazione, compiuta quattro anni fa dalla squadra mobile, su ordine della Dda. Le indagini avevano avuto impulso dopo la spedizione punitiva contro un nigeriano, picchiato da alcuni connazionali in via delle Case Nuove, a Ballarò. Violenze, sfruttamento della prostituzione e pratiche tribali feroci sarebbero state messe a segno dalla confraternita chiamata «Eiye», un gruppo della mafia nigeriana contrapposto alle altre consorterie battezzate Black Axe, Vikings, Maphite e Arubaga. Uno degli amici del ferito aveva raccontato agli agenti che l’aggressione era stata organizzata proprio da «Eiye». Da quel momento era cominciata la collaborazione: avevano raccontato di un'organizzazione verticistica, al pari della mafia, che aveva rigorose regole interne, in cui vigeva l'omertà, il rispetto e l'obbedienza alle direttive dei vertici, punizioni per chi sgarrava e il versamento, obbligatorio e periodico, di somme di denaro per sostenere le esigenze della casa madre nigeriana.

Una ricostruzione che è stata smontata pezzo per pezzo dai giudici.

Un servizio completo di Fabio Geraci sull'edizione di Palermo del Giornale di Sicilia in edicola oggi

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