Volti noti alle cronache giudiziarie di Palermo accanto a insospettabili uomini d’onore «riservati», tenuti in disparte per essere chiamati solo nei momenti di vera necessità. Ma soprattutto ligi ad uno statuto che dettava le regole agli affiliati e che non si doveva trasgredire. Nelle intercettazioni eseguite durante un summit a Riesi, in provincia di Caltanissetta, venne pure fuori che esisteva un vero e proprio decalogo di Cosa nostra, un codice che richiamava boss e «picciotti» al rispetto dei principi più antichi della mafia. Adesso l’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato ad Antonino Anello, 83 anni, e a Michele Saitta di 71 anni, che erano finiti agli arresti domiciliari; ad Angelo, Gioacchino e Pietro Badagliacca, rispettivamente di 53, 45 e 79 anni, Pasquale Saitta, 68 anni, e Marco Zappulla, 35 anni, questi ultimi cinque mandati in carcere; a Giovanni Cancemi di 53 anni, Davide Giambanco, 43 anni, Angelo Lazzara, 59 anni, e Silvestre Maniscalco, 44 anni, accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, compiute e tentate, con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l'attività mafiosa e di essersi «avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva», ha scritto il giudice nell’ordinanza. L’inchiesta dello scorso gennaio - condotta dai carabinieri e coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo - aveva consentito di infliggere un duro colpo alla famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, costola del mandamento di Pagliarelli. Nel corso dell’operazione Roccaforte - questo il nome che venne dato al blitz - furono emessi sette provvedimenti cautelari tra la città, Riesi e Rimini, cinque in carcere e due ai domiciliari. Il passaggio più importante era stato proprio il richiamo allo statuto «che hanno scritto i padri costituenti», così diceva uno dei boss arrestati mentre era captato dalle microspie in una riunione avvenuta nelle campagne di Caltanissetta. Un’affermazione per i magistrati che avrebbe dimostrato l’esistenza di una sorta di Costituzione della mafia secondo cui era necessario continuare a rispettare gli ideali e le vecchie regole, oltre a imporre l’osservanza agli affiliati. Che non esitavano a criticare la nuova strategia, portata avanti da Totò Riina, un’ideologia che aveva portato gli uomini d’onore ad uccidere alcuni appartenenti alle forze di polizia ed altri soggetti estranei a Cosa nostra, nel tentativo di portare a compimento il suo progetto stragista: «Ma ti sento dire io quando tu metti mano con gli sbirri, metti le bombe ai giudici... ma che senti fare? Non è nel Dna di questa Cosa (Cosa nostra, ndr)... perché c’erano buoni rapporti con gli organi dello Stato, non si toccavano... Anzi li allisciavano», è un altro dei punti contenuti nell’indagine. C’erano poi i personaggi «riservati», cioè uomini d’onore rimasti nell’ombra che erano chiamati in causa dagli associati al momento di dirimere alcune questioni interne «altrimenti componibili se non al costo di una insanabile - e pertanto non consentita, come impone la storica regola dell’indissolubilità dell’appartenenza a Cosa nostra - scissione dal vincolo mafioso», aveva puntualizzato il gip Lirio Conti nella sua ordinanza. Ma sono stati tantissimi gli episodi svelati dagli inquirenti che ora dovranno essere accertati nel corso del processo. Tra questi l’omicidio minacciato, anche se poi non eseguito, nei confronti di un architetto, responsabile di un errore gravissimo, cioè di avere sbagliato la pratica edilizia del nipote del capomafia. Gioacchino Badagliacca avrebbe manifestato la sua determinazione di eliminare fisicamente l’uomo: «Io mi devo levare qualche “scaglia” ma è una cosa mia personale … perché se … se io ci campo e queste persone campano io gli devo scippare la testa», aveva tuonato durante un incontro con altri sodali che però avevano rimarcato la necessità di rispettare determinate regole per organizzare l’esecuzione. Gli approfondimenti investigativi erano riusciti anche ad alzare il velo su alcune figure a completa disposizione della cosca, come quella del portiere del condominio dove risiedeva lo stesso Badagliacca, che si prodigava sistematicamente per mantenere riservati i rapporti con altri uomini d’onore. Ma c’era anche il geometra, titolare di un’agenzia immobiliare della zona, che sfruttava la propria vicinanza con il capofamiglia per intimorire un cliente rimasto insoddisfatto degli esiti di una compravendita. Erano state documentate pure altre estorsioni: per alimentare le casse del sodalizio venivano messe a segno con il metodo «classico» del pizzo o con l’imposizione di ditte gradite al clan ma poteva essere utilizzato un approccio ben più violento e inquietante, ad esempio posizionando una bambola sul cancello di un palazzo con un proiettile conficcato nella fronte. Nella foto il bacio fra Gioacchino Badagliacca e Michele Saitta, dal video diffuso dai carabinieri