I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo hanno notificato undici avvisi di conclusione indagini per l’operazione Roccaforte, con la quale lo scorso gennaio era stata smantellata la famiglia mafiosa della Rocca-Mezzomorreale nel mandamento di Pagliarelli. Erano state arrestate sette persone tra Palermo, Riesi e Rimini: cinque finite in carcere e due ai domiciliari. Gli indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, compiute e tentate, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi «avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva», affermano i giudici.
Grazie alle intercettazioni e ai pedinamenti i militari hanno anche ascoltato una riunione tenutasi nelle campagne di Caltanissetta - durante la quali gli indagati hanno fatto più volte fatto riferimento allo «statuto» delle regole di Cosa nostra, una sorta di codice: in quel contesto si è registrato il costante richiamo degli indagati al rispetto di regole e dei principi mafiosi più arcaici che sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di Cosa nostra. Nella conversazione captata, definita dallo stesso gip «di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria», si è più volte fatto esplicito richiamo all’esistenza del «codice mafioso scritto», custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di Cosa nostra palermitana.
i carabinieri hanno anche sventato un omicidio nei confronti di un architetto e numerose estorsioni e richieste di pizzo, una delle quali effettuata mediante una bambola con un proiettile in fronte.
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