Sono stati assolti, perché il fatto non sussiste, dall’accusa di avere indebitamene percepito il reddito di cittadinanza, essendo stati condannati per reati di mafia. Protagonisti della vicenda sono Gerlando Spinaccio di 65 anni, Angela D’Amato di 64 e Francesca Di Salvo di 45, tutti residenti in provincia di Palermo. I tre, assieme ad altri sette indagati, erano finiti sotto inchiesta per avere percepito il reddito di cittadinanza, secondo la Procura in maniera indebita, tra il mese di marzo 2019 e il mese di novembre del 2020.
Le indagini sono state eseguite dalla guarda di finanza. La contestazione da parte della Procura era legata alla norma nazionale, che preclude a soggetti condannati in via definitiva per reati di mafia, sia a livello personale che nel caso di familiari diretti, l’accesso al beneficio economico di Stato. I tre soggetti, nella fattispecie, rientravano in questa categoria e, pertanto, la Procura aveva disposto la sospensione del beneficio del reddito di cittadinanza e il sequestro cautelativo delle somme indebitamente percepite, a Spinaccio venivano sequestrati 9 mila euro, 12 mila ad Angela D’Amato e 9 mila e 600 a Francesca Di Salvo.
La vicenda giudiziaria si è chiusa martedì 24 ottobre in tribunale, a Termini Imerese, dove il gup Valeria Gioeli ha assolto i tre, che avevano scelto il rito abbreviato, con la formula più ampia e cioè «perché il fatto non sussiste». Inoltre, a Spinaccio, D’Amato e Di Salvo sono state dissequestrate le somme, che la Procura di Termini Imerese aveva posto sotto sequestro. Una misura preventiva che era stata messa in atto a garanzia dello Stato. La richiesta di condanna da parte della Procura imerese era di un anno e sei mesi ciascuno, già ridotta per la scelta del rito abbreviato. Nessuna colpa diretta per i tre e soprattutto nessuna malafede.
A fare scattare la denuncia era stata la guardia di finanza, che aveva fatto una verifica presso l’Inps a seguito dei controlli sulle erogazioni del reddito di cittadinanza. Il tribunale di Termini Imerese ha accolto le tesi degli avvocati Onofrio Barbaria, difensore di Gerlando Spinaccio, Jimmy D’Azzò, difensore di Angela D’Amato, e Giovanni Mannino, difensore di Francesca Di Salvo. I difensori, infatti, sono riusciti a dimostrare che effettivamente c’era buonafede nei tre, che si erano recati al Caf per chiedere un aiuto economico allo Stato, attraverso il reddito di cittadinanza. Nello specifico, quando era stata presentata l’istanza di sussidio il decreto legge, che precludeva di potere accedere al beneficio a chi aveva subito condanne in via definitiva per reati di mafia, intervenute anche dieci anni prima, non era stato convertito in legge. Per alcuni di loro, inoltre, la condanna all’atto della presentazione dell’istanza non era ancora divenuta irrevocabile. Nessuna dichiarazione di falso a loro carico e, pertanto, sono stati prosciolti dall’accusa di essere stati percettori del reddito di cittadinanza ingiustamente in quanto mafiosi. «Sono soddisfatto per il buon esito del processo a favore della mia cliente», ha detto l’avvocato Giovanni Mannino.
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