Avevano omesso di indicare la presenza di familiari pregiudicati, in altri casi svolgevano un'attività lavorativa in nero, ma nulla era stato indicato sulle domande d'accesso al reddito di cittadinanza. Le richieste per ottenere il sussidio venivano create ad hoc in base ai requisiti richiesti, ma l'inchiesta del Nucleo di polizia economico-finanziaria e coordinata dalla Procura di Palermo ha fatto venire a galla tutti gli stratagemmi adottati da chi falsificava i propri documenti. Tra i 93 indagati per la maxi truffa ci sono condannati in via definitiva e titolari di attività commerciali: in entrambi i casi si tratta di fattori che non avrebbero permesso di percepire il beneficio. Tra le cifre più alte ottenute senza averne alcun diritto, gli oltre 45mila euro ricevuti da un uomo che non aveva dichiarato di svolgere attività di barbiere e parrucchiere: i profitti venivano intascati in nero. Ma ci sono anche più di 21mila euro ricevuti nei mesi dal titolare di una ditta che si occupava di consulenza amministrativa. Anche in questo caso, l'intestatario della domanda del sussidio risultava ufficialmente disoccupato. Circa 18mila euro sono invece stati erogati a una donna, titolare insieme al marito di un'altra ditta individuale. Sui documenti presentati tramite il Caf dell'Arenella che è stato sequestrato, anche lei risultava alla ricerca di un lavoro e le era quindi stato concesso il sostegno economico. Ma non finisce qui, perché un pregiudicato per rapina aggravata aveva intascato quasi 20mila euro, così come un uomo che non ha dichiarato la presenza di un familiare condannato in via definitiva per ricettazione: aveva ricevuto duemila euro dopo che la sua richiesta aveva avuto il benestare grazie a omissioni e falsificazioni. Anche un altro palermitano era riuscito a beneficiare del sussidio non specificando che un membro della famiglia era sottoposto all'obbligo di firma: poco prima dell'inchiesta che ha smascherato la maxi truffa, sulla sua carta aveva ricevuto circa quttromila euro.