«Queste indagini confermano quanto stretta sia la vicinanza tra la criminalità organizzata e i cantanti neomelodici di terza generazione: un legame pericolosissimo, perché capace di far radicare, ancor più a fondo, la “cultura” mafiosa nella società». Francesco Petruzzella, analista informatico presso la Procura della Repubblica di Palermo e coautore, insieme al magistrato Calogero Ferrara, del libro «La mafia che canta», non è affatto stupito dell’arresto di Tony Colombo, «le cui canzoni rientrano a pieno titolo nel repertorio musicale dell’anti-Stato espresso dai suoi simili: gente nata in un mondo di marginalità, senza identità precisa, e per questo facilmente condizionabile e permeabile dai poteri criminali». Ci fa qualche esempio del repertorio? E che differenza c’è, a livello narrativo e al netto della moda connessa al fenomeno, fra la neomelodica del passato e quella odierna? «Premesso che non tutti i neomelodici cantano di malavita, carceri e pentiti, i brani anti-Stato non mancano di certo: si va da “Nun c’amma arrennere”, che mette alla gogna i collaboratori di giustizia, fino a «’O rre di Corleone», dedicata a Totò Riina, passando per «’A società», inno alla camorra. Testi che marcano un netto distacco con i neomelodici della vecchia guardia, come Nino D’Angelo, le cui canzoni parlavano di riscatto sociale, ma attraverso il sacrifico, il lavoro, e non facendo leva sull’idea che si può avere tutto e subito con la prevaricazione. Anche per questo, starei attento a usare il termine “moda”, perché mentre le mode vanno e vengono, il fenomeno di cui stiamo parlando rischia, come detto, di mettere radici: nelle periferie urbane trascurate, dove non ci si aspetta nulla dalle istituzioni e della vita, la neomelodica può fornire un appiglio ai senza speranza. Una identità malata, criminale». Ma l’arresto di Colombo non dimostra anche che la neomelodica non è più solo uno sfondo, un fenomeno che tra musica e trash si limita ad acclamare le gesta dei malavitosi? Qui sembra esserci qualcosa di più: il connubio con la camorra. È la conferma di un «salto di qualità»? «Più che altro siamo davanti alla prova provata che i neomelodici possono diventare strumento mafioso: un grimaldello con cui la criminalità organizzata penetra nei contesti che ho appena descritto. Non è un caso che, proprio su input della mafia, spesso e volentieri il teatro dei concerti di Colombo e colleghi, a Palermo come a Napoli, siano le piazze di periferia, lì dove stuoli di ragazzi cantano in coro canzoni contro i giudici, osannando il boss locale. Lì dove regna sofferenza e disagio sociale. E attenzione, non sto parlando solo di camorra, perché questa neomelodica alligna ovunque, da Catania a Bari, fino a Roma, Milano e Torino, e in ognuno di questi contesti la criminalità può mettere il proprio cappello sul cantante di turno. Potrà essere di volta in volta Cosa nostra, la ‘ndrangheta, la Sacra corona unita o la malavita romana, ma l’obiettivo sarà lo stesso». Il controllo del territorio? «Unito al condizionamento culturale. Un gioco facile, oggi, in quei luoghi dimenticati dallo Stato, dove non esistono più sezioni di partito, associazioni, parrocchie, squadre di calcio e le altre “sentinelle” che un tempo arginavano la pervasione criminale. E anche laddove queste “sentinelle” resistono, basta la presenza del “modello” neomelodico per spazzare via quanto di buono può seminare un’attività ludica, culturale o politica». L’inchiesta ha scoperchiato una «Di Lauro Spa», fatta anche da imprese più o meno legali gestite dal clan. È il segno che la camorra, come già fatto da Cosa nostra, si sta tuffando nella strategia della «immersione»? «Sì. Ormai tutte le organizzazioni criminali - persino quella camorristica, più avvezza a dimostrazioni pubbliche di violenza - hanno capito che la sparatoria e l’omicidio accendono subito i riflettori delle istituzioni sul territorio. Meglio sommergersi, puntando sempre di più a business apparentemente legali». L’operazione messa a segno conferma anche che Cosa nostra sta lasciando sempre più spazio alle altre mafie? «Più che altro dimostra il ritorno del sistema consortile: un’alleanza e un quieto vivere tra mafie, come accadeva nel dopoguerra, quando tra Palermo e Napoli si era creato un asse criminale fondato sul contrabbando si sigarette e il narcotraffico. La neomelodica, con il suo linguaggio universalmente riconosciuto, in qualche modo sancisce questo ritorno».