Preti di frontiera, lasciati soli a combattere contro la droga che circola nei quartieri, costretti a convivere con il degrado e l’incuria. Parte da Padre Salvatore Petralia della chiesa di San Giovanni Apostolo, il grido contro chi «va a braccetto con il demonio» ma anche una richiesta di aiuto nei confronti delle Istituzioni che sembrano sempre più lontane. Al Cep, negli ultimi mesi sarebbero sparite decine di automobili durante le messe, ma questa sarebbe solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso facendo andare il sacerdote su tutte le furie. Oltre ai ladri, nel mirino di don Salvatore sono finiti gli spacciatori, chi spara fuochi d’artificio «inutili e assordanti», perfino chi non raccoglie i rifiuti lasciandoli a marcire in strada. Le parrocchie, assieme alle scuole, ai commissariati e alle stazioni dei carabinieri, sono spesso l’unica risorsa al disagio che cresce. Ma non sempre sono in grado di dare una risposta. Come allo Zen dove padre Giovanni Giannalia, da più di un anno alla chiesa di San Filippo Neri, sembra quasi rassegnato. Nato a Villabate ma tornato in Sicilia dopo un’assenza di vent’anni, si è trovato davanti ad una situazione diversa rispetto a quelle affrontate in precedenza. «Siamo in difficoltà - ammette -. Allo Zen, in questo momento, non ci sono le condizioni minime di vivibilità che dovrebbe avere un quartiere normale, anche se povero. Le faccio un esempio: i rifiuti non vengono ritirati e si accumulano, quindi l’immondizia viene bruciata nei cassonetti e tutti ogni giorno respiriamo questa aria puzzolente e tossica. L’impressione è che tutti accettino che vada così. C’è qualcosa che non va, a partire dalla disattenzione nel custodire il territorio». Un quartiere che deve fare i conti con la droga, i furti e non solo: «Da soli non riusciamo a far rispettare le regole - continua padre Giannalia -. Ci sono tanti ragazzi allo sbando, percepisco una grande rassegnazione. Con il Comune e altre associazioni abbiamo dato vita ad alcuni progetti ma ora c’è una battuta d’arresto, probabilmente le urgenze sono altre. Stiamo cercando di capire, per scalare questa montagna ci vorrà molto tempo. E non è facile». Allo Sperone, dall’altro capo della città, l’atmosfera sembra totalmente diversa. Don Ugo Di Marzo, alla guida della chiesa di Maria Santissima delle Grazie in Roccella, ha ormai stretto un patto di ferro con chi frequenta la parrocchia nel segno di Padre Pino Puglisi: «Qualche anno fa, quando avevano rubato alcune auto davanti alla Chiesa, ho minacciato di chiudere ogni attività e di non impegnarmi più. Ho fatto capire che sarebbe stato triste venire solo ad ascoltare la messa, li ho educati a godersi i nostri spazi come se fossero a casa loro». Ma ci sono anche le zone d’ombra: «Non è vero che allo Sperone la dispersione scolastica è stata quasi azzerata - puntualizza don Ugo -. È solo una semplificazione. Se ci sono ventenni che spacciano accanto ai bambini significa che negli anni abbiamo perso studenti che invece hanno trovato un lavoro nella criminalità. Più che pensare alle statistiche, servono risorse per le parrocchie, per le scuole e per le associazioni del terzo settore. A volte basterebbe solo dividere meglio queste somme per ottenere risultati più efficaci». Un quartiere difficile anche quello in cui opera padre Massimiliano Turturici, parroco della chiesa di San Giuseppe Cafasso, in via dei Benedettini, vicino a Palazzo Reale. «Siamo presenti - dice - aiutando le persone, per esempio offrendo il volontariato a chi esce dal carcere. Lo spaccio di droga a Ballarò è il grande problema ma cerchiamo di educare i più giovani in oratorio con il doposcuola. L’obiettivo è di trasmettere i valori, anche quelli cristiani, che sono alla base del vivere civile». Nella foto la parrocchia di San Giovanni Apostolo al Cep