Hanno scelto di non parlare davanti al Gip che li ha interrogati, ma ci sarebbe un’ulteriore indagine che punterebbe a scoprire altri agenti infedeli. Altri poliziotti sarebbero coinvolti negli affari illeciti organizzati da Fabrizio Spedale e Salvo Graziano, i due vice sovrintendenti arrestati con l’accusa di avere fornito notizie riservate allo spacciatore Ignazio Carollo - anche lui finito in manette nella stessa operazione - e di avere fatto sparire la droga sequestrata, per poi consegnarla al pusher che l’avrebbe rivenduta dividendo con loro i profitti. Su questa parte dell’inchiesta, diretta dal procuratore Maurizio de Lucia con l’aggiunto Paolo Guido, c’è ovviamente il massimo riserbo. Ma è scontato che, su questo filone, siano in corso una serie di approfondimenti. Del resto, nella stessa ordinanza che ha portato all’arresto dei due agenti, il giudice Cristina Lo Bue ha messo in evidenza come «dalle intercettazioni emerga un’anomala familiarità con Carollo (il pusher, ndr), anche da parte di altri colleghi in servizio e in contatto con Spedale (e che erano) al corrente dello speciale legame tra quest'ultimo e lo spacciatore» poi arrestato. Non a caso gli inquirenti riportano la conversazione tra Spedale e un altro poliziotto - un assistente capo - da cui emerge il timore da parte di quest'ultimo che, in seguito all'arresto di Carollo, si sarebbe potuto scoprire che lo spacciatore custodiva sul proprio cellulare il suo numero di telefono. Una circostanza che avrebbe potuto mettere in allerta i superiori, anche se la giustificazione era pronta: «Se dovessero vedere il mio numero non succede niente», spiegava il collega a Spedale, perché «vabbè, dico io, è una persona che conoscevo, che mi faceva dei traslochi». E poi aveva aggiunto: «L’avevo chiamato per un trasloco... l’ultima volta che ci siamo sentiti era arrabbiato con me. Mi ha detto, non ti fai sentire e non ti fai vedere più. Io lo facevo per proteggerlo perché io non sapevo più se ero intercettato. Siccome lui è cumminatu male, io dissi “vuoi vedere che a sto povero Cristo lo mettono in croce per colpa mia?”. Ho provato a spiegarglielo, però non è che è facile parlare con Sandro (il soprannome di Carollo, ndr), a faricillu capiri. Oh, non è che io non ti voglio vedere, dico che voglio evitare...». Una discussione che ha attirato l’attenzione di chi indaga, come quella relativa al giallo della «questione di Castelvetrano». Anche la madre di Carollo incontrava i poliziotti ritenuti infedeli: e al ritorno da un faccia a faccia al bar con Spedale, la donna spiegò al figlio cosa si erano detti ed era venuta fuori un’incredibile rivelazione: almeno una volta al mese il pusher avrebbe portato qualcosa (verosimilmente droga, scrivono i magistrati) alla nipote di un personaggio di spicco che la polizia non era riuscita a identificare. Di chi si trattava? «Anna Messina Denaro», raccontava Carollo alla madre, che si informava per sapere se era parente dei più noti. «La nipote», aveva risposto il ragazzo. «Chi te la presentò?», era stata la risposta della donna, abbassando il tono della voce. «Il turco tramite Facebook», per poi chiedere se lui (probabilmente si riferisce a Spedale, si legge ancora nell’ordinanza) fosse a conoscenza di questa frequentazione. «Lui? Che la conosco sì, ma non sa che gliela porto...».