Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Palermo, nigeriana accusa il protettore: i giudici lo condannano, ma dicono che lei era «prostituta per scelta, avrebbe potuto fare la shampista»

Il palazzo di giustizia di Palermo

Ha raccontato di essere fuggita dalla Nigeria e di avere raggiunto l’Italia per rifarsi una vita, ma d’essere stata costretta dalla mafia del suo paese, che ha suoi affiliati a Palermo, a prostituirsi. Per la corte d’assise del capoluogo, che pure ha condannato l’uomo denunciato dalla vittima, la nigeriana sarebbe, però, «una prostituta volontaria. Da inquadrare, più correttamente - si legge nella sentenza - nella nota diffusa categoria delle cosiddette sex-workers ossia nella categoria di quelle donne che preferiscono dedicarsi alla prostituzione piuttosto che lavorare o svolgere lavori poco remunerativi, come potrebbero esser quello della “shampista” o di far capelli o di “far treccine” o di lavorare presso qualcuno come domestico (etc etc)». L’argomentazione è contenuta nelle motivazioni del verdetto col quale i giudici hanno comunque condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione, il nigeriano Silver Egos Enogieru. La Procura di Palermo gli contestava anche la tratta di esseri umani e per questo aveva chiesto 16 anni e 6 mesi di carcere. «Questa “classificazione” della prostituta, naturalmente non contrasta con la presenza di uno sfruttatore e favoreggiatore, che a sua volta si giovi delle prestazioni della “lavoratrice e le agevoli, per rimpinguare anche le proprie casse”», prosegue il collegio, che ha anche condannato l’africano a risarcire i danni alla parte civile. La Procura di Palermo presenterà appello contro la sentenza. Il processo è nato dalla denuncia della vittima, una nigeriana di 27 anni, che ha raccontato di essere stata costretta a scappare dal suo paese per sfuggire a un clan mafioso locale che la minacciava di morte. Prima di lasciare la sua casa sarebbe stata sottoposta a un rito voodoo, poi avrebbe fatto tappa in Libia, dove sarebbe stata tenuta prigioniera e torturata in un campo profughi, e infine si sarebbe imbarcata per l’Italia. Tramite connazionali, avrebbe preso contatto con l’uomo che poi l’avrebbe avviata alla prostituzione. Dal suo sfruttatore, che era affiliato alla mafia nigeriana e che la picchiava sistematicamente, sarebbe stata costretta a versare 1.500 euro al mese. Dopo mesi di abusi, la donna si è rivolta a un religioso nigeriano che l’ha accompagnata alla polizia.

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