Il 29 agosto del 1991 la mafia uccise a Palermo Libero Grassi, l’imprenditore che si era rifiutato di pagare il pizzo. In occasione del 32° anniversario dell'omicidio Addiopizzo affida alla città una riflessione sul fenomeno estorsivo.
Trentadue anni – quelli che ci separano dall’omicidio di Libero Grassi – sono un arco di tempo che impone un’analisi sul contrasto alle estorsioni. Sebbene ci sia ancora chi continua a pagare va evidenziato che oggi la scelta di opporsi è possibile e non ha bisogno del clamore mediatico a cui, suo malgrado, fu costretto l’imprenditore tessile.
I processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell’ordine e con l’ausilio di associazioni realmente operative, raccontano infatti che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di operatori economici che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità.
Tuttavia va rilevato che sono ancora molti, soprattutto in alcune aree della città e in specifici settori, coloro che pagano le estorsioni e non denunciano. Su questa tendenza va però aggiornata la narrazione: rispetto al passato il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza.
Si tratta di commercianti e imprenditori che operano in diversi settori come quello dell’edilizia e che in cambio del pizzo pagato chiedono al medesimo taglieggiatore di scalzare concorrenti, di recuperare crediti e refurtive, di dirimere controversie con i dipendenti e di risolvere problemi di vicinato.
È una variante degenerativa del fenomeno estorsivo che è sempre esistita ma che oggi ha assunto una dimensione dominante. In questo contesto negli ultimi mesi abbiamo accompagnato a denunciare diversi imprenditori edili oggetto di tentativi di estorsione, le cui storie racconteremo quando sarà possibile. In queste e altre vicende emergono le difficoltà di imprenditori e operai a lavorare in alcuni territori, dove, invece, altre imprese edili in cambio delle estorsioni pagate si accaparrano forniture e lavori realizzati in cantieri con bonus fiscali come quello per il ripristino delle facciate condominiali.
Rispetto a tutto questo occorre che le organizzazioni datoriali del comparto dell’edilizia e i sindacati di riferimento promuovano interventi concreti, stimolino tutti gli imprenditori a denunciare e sensibilizzino i capicantiere (che di fatto ricevono le richieste estorsive) a fare altrettanto. Ci ritroviamo in un momento nel quale i tempi sono maturi affinché governo e parlamento del Paese più che ripristinare il “subbappalto a cascata”, adottino strumenti che inibiscano l’accesso a bonus e benefici fiscali a quelle imprese che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra. La natura di questo genere di interventi disincentiverebbe le relazioni di connivenza a tutela del mercato e della collettività ma sarebbe anche coerente con norme già introdotte nel 2009 sul cosiddetto “obbligo di denuncia” per le imprese che contraggono con la pubblica amministrazione.
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