«Tutto è partito da qui, quarant’anni fa, al piano di sotto dove si trova l’Ufficio istruzione, quando mio padre ne divenne capo in una stagione difficilissima e drammatica - ricorda Giovanni, figlio del fondamentale architetto della lotta alla mafia, il magistrato Rocco Chinnici -. Avevano da poco ucciso Boris Giuliano e Cesare Terranova, i primi del 1980, e papà comprese che per contrastare il fenomeno mafioso, sempre più potente ed eversivo, doveva riunire giudici specializzati, così nacque l’embrione del pool».
Dall’aula magna della Corte d’appello del tribunale di Palermo riflessioni e memoria attiva si mescolano tra loro alla vigilia del quarantesimo anniversario della strage di via Pipitone Federico, la prima caratterizzata dalla più moderna tecnica dell’esplosivo comandato a distanza, che falcidiò la vita del magistrato, dei due agenti di scorta il maresciallo dei carabinieri Mauro Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta e del portiere dello stabile in cui Chinnici risiedeva, Stefano Li Sacchi. Sotto gli occhi attenti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, attorniato dal presidente della Regione Renato Schifani, il prefetto Maria Teresa Cucinotta e dal sindaco Roberto Lagalla, viene riportato alla mente il grande lavoro svolto contro Cosa Nostra, la visione e la lungimiranza che hanno fatto si che Rocco Chinnici puntasse su giovani giudici come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e le intuizioni che hanno rappresentato le colonne portanti della lotta alla criminalità organizzata assorbite e studiate adesso anche a livello europeo. Una lettura moderna e ancora considerata attuale e proprio su questo tema si concentra il seminario svoltosi nell’aula magna dal titolo Memoria è continuità: il lavoro di Rocco Chinnici, dall’Ufficio istruzione di Palermo alla legislazione antimafia italiana ed europea, e Giovanni Chinnici si esprime sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa: «Il percorso costellato dai sacrifici di moltissimi ha lasciato un patrimonio che oggi non può essere dimenticato - sottolinea -. Comprendo che ci siano esigenze che sono anche degne di attenzione, ma non si può dimenticare quel percorso drammatico che è stato fatto in Italia dagli anni ’80 in poi». Patrimonio ed eredità «che si condensano del suo pensiero - ricorda Matteo Frasca, presidente della Corte d’appello di Palermo - che altro non era che una capacità di visione straordinaria: coglieva anticipatamente quali erano gli effetti nefasti dell’organizzazione mafiosa e la necessità di adottare e adattare le organizzazioni degli uffici e delle iniziative investigative a questo mutare continuo dell’organizzazione mafiosa prevedendone strategicamente le mosse».
«Il tempo che è passato è servito a dare un nuovo profilo a tanti colleghi che sono venuti dopo Rocco Chinnici - ha sottolineato il residente della Commissione regionale antimafia Antonello Cracolici - che hanno dimostrato di poter perseguire la loro professione con altrettanta competenza. Oggi la mafia non fa più esplodere bombe - precisa - oggi usa la droga, che non fa rumore ma sta distruggendo la nostra città e travolge tanti ragazzi e ragazzini». Il seminario scivola tra memorie e appelli a non abbassare la guardia, anzi: «Bisogna che il metodo Chinnici sia portato ai più alti livelli - afferma Lia Sava, procuratrice generale della Corte d’appello - bisogna unire le forze anche a livello internazionale: ormai le mafie sono vere e proprie holding che si muovono perfettamente nel campo finanziario».
A seguire gli interventi di Clelia Maltese, presidente dell’Associazione nazionale magistrati e di Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia: «Celebrare questi anniversari è sempre difficile ma posso affermare once certezza che questo governo on farà alcuno sconto alle mafie - ha detto il viceministro - l’antistato on potrà mai prevale sullo Stato. Il governo va avanti sulla riforma della giustizia: ho grandi speranze in una giustizia migliore più organizzata, più tecnologica e partecipata». Tra i partecipanti anche il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia e l’ex presidente del Senato Piero Grasso, che conobbe Chinnici quando da giovane muoveva i suoi primi passi nella magistratura: «Un padre ed un esempio per me - ricorda con il sorriso - ci chiama i frutti di martorana, per via del procuratore aggiunto Martorana e noi eravamo con lui a lavorare. Era una guida, un fratello maggiore, un grandissimo lavoratore. I suoi colleghi spesso gli rimproveravano bonariamente di pensare sempre al lavoro».
Persone:
Caricamento commenti
Commenta la notizia