«Per la nostra storia, per quello che è successo nella nostra terra queste spaccature non fanno bene. Sono crepe che nascondono quelle verità che noi cerchiamo». In via D’Amelio i ricordi e la rabbia di Luciano Traina, fratello di Claudio, l’agente di scorta del giudice Paolo Borsellino rimasto ucciso a soli 27 anni dalla bomba piazzata al civico 21 insieme ai colleghi Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e al giudice stesso, e di Antonio Vullo, agente sopravvissuto, vengono accarezzati da una strana brezza, impensabile in queste giornate di caldo torrido. «È un luogo particolare», dice Vullo accennando un sorriso amaro, «quando vengo qui a trovare i miei fratelli, i miei colleghi trovo la mia serenità».
Sentimento che per ora non si addice al movimento antimafia, spaccato in più parti che sembrano sempre più allontanarsi ogni giorno che passa. Davanti all’ulivo della pace, addobbato con lettere, foto, pensieri e foulard e cappellini colorati, Luciano e Antonio danno la loro visione del momento che sta attraversando la città, che dopo trent’anni si trova divisa su temi e giornate che hanno sempre unito: «Vorremmo capire perché ci sono queste tensioni - dice Vullo -, lo abbiamo visto anche il 23 maggio con il corteo bloccato in via Notarbartolo per non farlo giungere all’Albero Falcone. Ci lascia veramente molto amareggiati». Una decisione, quella di bloccare il corteo del coordinamento 23 maggio, composto da ragazzi e sigle sindacali, che non è andata giù. «Presa da non so chi - dice Traina - bloccare dei ragazzi, che sono il futuro di questa città, soltanto perché volevano fare memoria davanti l’albero di Falcone è un’ingiustizia. Cosa diamo a questi ragazzi? Bloccati solo perché volevano fare memoria, quel giorno che doveva essere bello. Bello perché dal ricordare Giovanni Falcone non poteva nascere nulla di brutto. È qualcosa che si porteranno dietro. Un corteo fermato solo perché li era allestito un palco di politici che non volevano essere disturbati». Nel video l'intervista a Luciano Traina e Antonio Vullo.
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