Fervore, passione, slancio, poesia, furore, racconto, caldo, sudore, lacrime, fede, stanchezza, fatica, molta fatica, felicità, contentezza, speranza, spettacolo, musica. Circa 200 mila persone. E pure un'invettiva contro la mafia. È il Festino, signore e signori. E se non siete disposti a scarpinare, sgomitare, stringervi uno sull’altro e uscire spossati come da una dolce battaglia, allora non siete adatti a godere di una delle feste religiose più partecipate, colorate e «folli» dello Stivale. La voce inconfondibile del barbuto e arruffato Salvo Piparo, guitto di talento e anima della palermitudine, dà il via all’edizione numero 399 della kermesse religiosa con un ritardo di 7 minuti sulla tabella di marcia: alle 21.22. Sul piano di Palazzo Reale inizia la performance che racconta per tappe successive (cattedrale, Quattro Canti, Porta Felice, palchetto della musica) la peste che ha afflitto Palermo, l’intercessione della Santuzza, infine la liberazione dal morbo. L'arcivescovo Corrado Lorefice, in cattedrale, sale sul carro e lo benedice. Ma sceglie quel pulpito per lanciare un j'accuse contro la mafia «che uccide i nostri figli con la droga». Di più: «Chi la usa ingrossa le tasche di Cosa nostra». Lorefice parte dalla vicenda di Giulio Zavatteri, il ragazzo morto per overdose crack il 15 settembre scorso. Il servizio completo di Giancarlo Macaluso sul Giornale di Sicilia oggi in edicola