I carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Palermo hanno notificato 11 ordinanze di custodia cautelare, di cui 8 in carcere e 3 agli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico, nei confronti di boss, alcuni dei quali già detenuti, gregari ed estortori del mandamento mafioso di Tommaso Natale. Le accuse per gli arrestati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione con l’aggravante del metodo mafioso e tentato omicidio aggravato. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella. Gli investigatori si sono serviti di tecnologie sofisticate di intercettazione riuscendo, così, a superare le continue cautele messe in atto dagli indagati per sfuggire alle indagini. Ricostruite anche le strutture delle famiglie di Pallavicino-Zen, Partanna Mondello e Tommaso Natale. Gli inquirenti inoltre hanno scoperto i canali attraverso i quali il clan comunicava con le altre cosche, accertato decine di estorsioni, svelato la presenza costante delle «famiglie» nella vita del mandamento. I boss dirimevano liti tra i cittadini e tutelavano gli interessi dei commercianti che pagavano il pizzo in cambio della protezione. Solo due giorni fa la procura di Palermo aveva chiesto e ottenuto dal gip 18 misure cautelari per esponenti del can di Resuttana, mandamento confinante con quello colpito dal blitz di oggi. L’inchiesta, ribattezzata Metus, fa luce sull’organigramma, le dinamiche e gli affari del mandamento mafioso di Tommaso Natale a cui appartengono le «famiglie» di Partanna Mondello, Tommaso Natale e Zen-Pallavicino. La misura cautelare è stata notificata in carcere al vecchio boss Michele Micalizzi, già al vertice del clan e tornato alla guida della cosca dopo aver scontato una condanna a 20 anni. Scarcerato, dopo una breve parentesi a Firenze, è tornato a Palermo al vertice della famiglia mafiosa di Partanna Mondello. Micalizzi, 73 anni, nemico giurato del boss Totò Riina, è il genero dello storico capomafia Rosario Riccobono, assassinato dai corleonesi durante la seconda guerra di mafia. Anni di esperienza nel narcotraffico, rapporti strettissimi con i trafficanti thailandesi, il padrino alla guida del clan si serviva di fedelissimi come Gianluca Spanu e Francesco Adelfio. Micalizzi si muoveva con cautela per sfuggire alle indagini, certo che i carabinieri lo stessero tenendo d’occhio. In una intercettazione con il boss Tommaso Inzerillo chiedeva: «Ci ascoltano? Sicuro sei?». E l’interlocutore gli rispondeva: «Al 99 per cento». Allora Micalizzi ricordava come i «cugini» mafiosi americani erano riusciti a eludere le «cimici». «Gli americani erano sofisticati - spiegava - entravano nei negozi si spogliavano, compravano vestiti nuovi, scarpe nuove perché glieli infilavano pure nei tacchi delle scarpe (le microspie, ndr) e i vestiti li buttavano e li arrotolavano dentro i sacchi e se ne andavano in campagna a parlare».