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Il blitz antimafia di Palermo, a subire le intimidazioni fu anche il costruttore Meola: ecco come e quando

Giuseppe Di Maria, uno degli arrestati dell'operazione Resurrezione, assieme al figlio vessava l'imprenditore per un presunto credito

Le estorsioni erano una delle principali fonti di reddito della famiglia mafiosa di Resuttana, abbinate alla necessità di fare sentire una forte presenza sul territorio degli uomini d'onore del mandamento, uno dei principali di Palermo. In tanti hanno preferito guardare e sopportare in silenzio, ma Carmelo Meola, amministratore della società edile Edim, ha trovato la forza di raccontare tutto in questura. L'imprenditore, che ha alle spalle una tradizione che affonda le radici negli anni Novanta, in passato aveva denunciato le richieste del racket nel suo cantiere di Capaci: aveva spiegato agli investigatori di avere revocato l'affidamento di alcuni lavori ad una ditta, gestita da Giuseppe Di Maria, uno dei diciotto arrestati di ieri nell'operazione Resurrezione, e da suo figlio Angelo, e da lì erano cominciati i guai.

Meola aveva aperto un altro cantiere a Mondello per la costruzione di alcune ville ed aveva chiesto ai due ex collaboratori di portare via le attrezzature lasciate nel fondo di via Castelforte. Da parte loro, invece, padre e figlio assillavano Meola per il pagamento di un presunto debito che avrebbero vantato per pendenze precedenti. Per chiarire la faccenda avevano dato appuntamento all'imprenditore, ma l'incontro era finito con pesanti minacce: «Cornuto e sbirro, non ti prendo a legnate perché poi mi vai a denunciare», era stata la reazione di Giuseppe Di Maria.

La questione del terreno da liberare era stata risolta dagli avvocati, ma era rimasta aperta l'altra vicenda, quella relativa alla pretesa dei presunti crediti: i Di Maria si sarebbero rifatti sotto, questa volta con l'aiuto del reggente del mandamento di Resuttana, Salvatore Genova, e del suo luogotenente Sergio Giannusa, e per questo era scattata una seconda denuncia. Meola, infatti, avrebbe notato la presenza di Giuseppe Di Maria che lo guardava con aria di sfida e si sarebbe preoccupato, chiamando la polizia.

Il passaggio, contenuto nell'ordinanza dell'operazione Resurrezione, sottolineava come le indagini avevano consentito di accertare che «il pregiudicato Di Maria, nipote di Vincenzo Graziano, quest'ultimo sottocapo della famiglia mafiosa dell'Acquasanta e vicereggente del mandamento di Resuttana, fino alla sua cattura il 16 dicembre del 2014», si era rivolto «a Salvatore Genova e al suo sodale Sergio Giannusa, insieme ai quali, proprio il 16 novembre del 2020, si recava nel cantiere di via Castelforte, per intimidire Meola e costringerlo al pagamento delle sue richieste economiche. Soltanto la presenza di una pattuglia della polizia costringeva gli indagati a rinunciare a portare alle estreme conseguenze i loro intenti intimidatori ai danni di Meola, il quale si recava immediatamente a denunciare l'accaduto».

 

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