Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

«Dovete mettervi in regola»: al Villaggio Santa Rosalia è la donna che va a riscuotere

Tra il 7 aprile e i 15 maggio 2020, Emanuela Lombardo, la moglie del capo del clan di Villaggio Santa Rosalia di Palermo, veste secondo l’accusa i panni di esattore del «pizzo». La donna si presenta in un panificio della zona dell’ospedale Civico, e senza mezzi termini si qualifica come esponente della cosca della zona e chiede 120 euro che incassa tramite un dipendente. La Lombardo ripete più volte il suo ruolo, dice che il panificio deve «mettersi a posto». Un rito che la donna ripeterà in un’altra occasione, accompagnata stavolta dal figlio Vincenzo: nel mirino c’è lo stesso esercizio commerciale, stavolta la consegna di 280 euro viene fatta direttamente nelle mani del ragazzo che consegna subito i contanti alla madre. Ma la Lombardo durante i videocolloqui col marito detenuto, riceve le istruzioni, per la gestione degli appalti e le estorsioni. E poi sente le altre mogli o familiari di mafiosi sguinzagliati nel quartiere per dare loro indicazioni: sullo sfondo ci sono le sale scommesse da aprire, i lavori di rifacimento di alcuni esercizi commerciali che tramite prestanome continuano la loro attività e riforniscono di contanti le casse della cosca. La Lombardo si interfaccia col marito a proposito di un grosso nome del gotha mafioso, Giuseppe Calvaruso detto «u’ curtu», originario di Villaggio Santa Rosalia e successore come reggente di Mineo: «Lo conosco da piccolo», dice lei, rassicurandolo. E infatti Calvaruso, dopo l’arresto di Sorrentino, incontra la donna, la chiama «cummare» e si informa dell’esito di un processo che lo riguarda. La Lombardo ha rapporti diretti, dopo l’arresto dei mariti, con la moglie di Calvaruso, di Giovanni Cancemi, di Andrea Ferrante. Il 22 gennaio 2020 gli investigatori della finanza intercettano un colloquio tra i Sorrentino padre e figlio e la moglie. Parlano di un progetto imprenditoriale: l’apertura di una gelateria nel quartiere. Lei dice che ha affittato un locale, che «se l’è già preso...» e fa il nome di un loro conoscente, «già sono cominciati i lavori». Fanno riferimento ad un geometra, «lo sai, mi ci trovo bene con questo ragazzo» dice il marito, «mi ha fatto il progetto per fare ristrutturazioni». «Io ero lì che seguivo i lavori, che hanno smantellato tutto il bagno, tutti gli infissi...». Poi il discorso si sposta su un imprenditore loro amico, che si è lamentato col il giovane Sorrentino di un avvicinamento che aveva subito da parte di qualcuno che evidentemente voleva il pizzo. «L’altra volta era un pazzo... perché ci è andato Gne Gne Gne». E Sorrentino padre: «Ehhh????». Un’espressione di stupore subito seguita da parole in codice: «Gli dici a questo Gne Gne che si fa i fatti suoi, gli dici ...va bene, lo sa mio padre». Il figlio lo rassicura: «Non lo vedo, però ora forse lo vedo...». E la moglie, in seguito, esprimerà i suoi timori che questo «Gne Gne» possa essere stato autorizzato da Calvaruso a chiedere soldi: «Quello corto... è capace che ne prende le difese». Tra le decine e decine di conversazioni ce n’è una che risale al febbraio 2020: Sorrentino è nel carcere di Rebibbia a Roma parla con figlio e moglie: «Quel ragazzo, quello di fronte a dove aveva il negozio tuo padre si sta spostando più avanti». Parla di un ambulante, «quello del pane della domenica». A lui fanno capo, per l’accusa, una dozzina gli venditori di Pagliarelli, Ballarò, Capo. L’indagine dovrà chiarire se dietro questo business c'è la mano di Sorrentino.

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