I crimini della seconda guerra mondiale si possono ancora accomodare oggi in un tribunale civile. Il passato alla sbarra, seppur sotto forma di risarcimento in denaro per un aviere deportato nei campi nazisti e ridotto in schiavitù dopo l’armistizio che aveva trasformato gli alleati italiani in traditori. Da amici a nemici, e come tali trattati. Nicolò Salamone, palermitano, è morto nel 2003 portandosi dietro per tutta la vita i segni (non solo materiali come i colpi di frusta sulla schiena e sulle mani) di quell’orrore durato dal 1942 al '44. Ora i figli, difesi dagli avvocati Alessandro Palmigiano e Luca Panzarella, hanno citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il ministero dell’Economia e delle Finanze. Chiedono i danni patrimoniali e morali, in totale conteggiati dai difensori in circa 26 mila euro ciascuno, azione possibile grazie al fondo nazionale che prevede indennizzi anche per le nuove istanze presentate entro il 28 giugno.
Salamone è stato prigioniero in un campo di concentramento legato alla industria tedesca Krupp, dove il militare, dopo la firma dell’armistizio di Cassibile nel '43, era ritenuto un traditore: un buon motivo per subire torture, lavori forzati e più in generale condotte gravemente lesive dell’integrità e della dignità personale. Come quando, all’ennesimo tentativo di fuga, che costò la vita ad altri commilitoni, fu riacciuffato e percosso con diverse cinghiate. Un «tatuaggio» indelebile di quell’inferno che aveva trasformato gli italiani da amici a nemici dei nazisti. Era stato arruolato nel ‘42, appena ventunenne, come aviere scelto dell’esercito in leva obbligatoria di stanza in Albania per la campagna militare contro la Grecia. Durante un bombardamento, il suo aereo fu abbattuto: lui si salvò, ma fu catturato dagli inglesi. Nel settembre del 1942, lo scambio con un gruppo di prigionieri tedeschi, e poi, alla firma della resa dell’Italia alle forze anglo-americane, l’inizio del calvario: lo spostamento e lo sfruttamento come schiavo nei diversi campi di concentramento. Il primo di questi fu lo Stammlager, in Sassonia dove gli diedero il numero identificativo 74326 scritto di pugno. Fu costretto per mesi a spaccarsi la schiena come saldatore, senza alcuna retribuzione, in favore dell’industria tedesca Krupp, che divenne famosa per la produzione di acciaio e per le fabbriche di munizioni e armi.
Il coinvolgimento della industria con il regime nazista è stato totale, tanto che gli amministratori finirono sul banco degli imputati nel Processo di Norimberga, al termine della seconda guerra mondiale. Tra i vari capi d’accusa, crimini contro l’umanità per avere partecipato allo sterminio, alla riduzione in schiavitù, alla deportazione, alla prigionia, alla tortura e alla schiavitù nei confronti dei civili sotto il controllo tedesco, di cittadini tedeschi stessi e dei prigionieri di guerra. Furono tutti condannati al carcere, ma la Germania non pagò mai un euro di risarcimento alle vittime dei soprusi. Nel 1944 erano oltre 10 mila gli addetti ai lavori, tra i quali appunto l’aviere Salamone.
I prigionieri erano sottoposti a turni massacranti, sopravvivevano con un’alimentazione inconsistente, caratterizzata da brodaglie e raramente da porzioni razionate, molto spesso composte da acqua e bucce di patate. Uno degli svaghi preferiti dai tedeschi, inoltre, era quello di lanciare il cibo per fare accalcare i prigionieri come cani, ridendo delle umiliazioni inferte alla dignità degli italiani. Le SS infliggevano spesso anche immotivate punizioni corporali. Nei 27 mesi di prigionia, Salamone fu più volte colpito con tubi di gomma o di ferro. Ferite fisiche che poi aveva nascosto ai familiari (non si spogliava al mare) fino alla tarda età, che erano sopratutto voragini aperte nella sua anima. Alla fine della guerra, i parenti si erano rivolti alla Croce Rossa per rintracciare l’aviere.
Dopo un anno, nel 1945, la bella notizia: era ancora vivo, in Germania. Soltanto però ad aprile del 1946, come da comunicazione del comando Aeronautica della Sicilia, dopo un altro anno senza alcuna notizia ufficiale, il soldato era rientrato a casa dopo viaggi in parte fatti a piedi e approfittando dei passaggi sui carri merci delle ferrovie. Il 12 novembre del 1986 fu insignito della Croce al Merito di Guerra, per «l’internamento in campo di concentramento tedesco».
Solo a 70 anni raccontò ai figli l’orrore di quegli anni: a provocare l’amaro sfogo, la visione da parte di uno dei figli e della moglie del film Schindler list. La causa di risarcimento poggia le sue ragioni sulla legge n. 79 del 29 giugno 2022 che istituisce «un fondo per il ristoro dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945». Il fondo è istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze e da seguito ad un vecchio accordo tra Italia e Germania ma mai reso esecutivo dal 1962, che ora invece mette a disposizione 20 milioni per il 2023, di quasi 12 ciascuno per il 2024, 25 e 26. A febbraio scorso, il Parlamento ha convertito in legge il decreto Milleproroghe, estendendo l’originario termine di decadenza per la proposizione di nuove domande giudiziali contro la Repubblica federale di Germania. La proroga arriva al 28 giugno e così è stato possibile inserire l’istanza dei Salamone.
Con l’accordo di Bonn, lo Stato ha sdoganato i tedeschi dai debiti risarcitori contratti verso le vittime del Terzo Reich, accollandosene il costo. Sulla deportazione e riduzione in schiavitù dell’aviere fanno fede gli stessi documenti forniti dalla Germania, che in questo caso ha violato i principi di diritto internazionale adottati nel giugno 1950 dalle Nazioni Unite. Salamone aveva maturato una paura degli spazi chiusi, soffriva di claustrofobia, si svegliava spesso la notte in preda agli incubi , non prendeva l’ascensore. E, sopratutto, non voleva ricordare.
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