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Mafia e neomelodici a Palermo, chiesti oltre due secoli di carcere

Proposte pene pesanti per Adelfio, Capizzi e Freschi: nel giugno scorso 24 arresti a Santa Maria di Gesù e Villagrazia

Mafia onnipresente, perfino con la «sponsorizzazione» delle feste rionali e della musica organizzata in quella occasione nelle piazze di Santa Maria di Gesù e Villagrazia. Cosa nostra passa il testimone a figli e nipoti, alcuni appena maggiorenni e di fatto investiti di responsabilità da capi. Salvatore Profeta, nipote dello storico boss, sarebbe stato l’enfant prodige della operazione «Navel», che a giugno dello scorso anno ha decapitato il mandamento. Ventiquattro arrestati tra capimafia e gregari, per i quali ora la Procura chiede la condanna a oltre 230 anni di carcere. La requisitoria è stata fatta dalla pm Luisa Bettiol. In aula, a rappresentare l’accusa, era presente anche il procuratore aggiunto Paolo Guido. Il processo si celebra in abbreviato davanti al gup Vassallo.

Tra gli imputati uomini d’onore del calibro di Giovanni Adelfio, Sandro Capizzi, Salvatore Freschi, Salvatore Profeta e Ignazio Traina per i quali sono stati chiesti 20 anni di reclusione. Le indagini che hanno portato al processo sono state condotte dai carabinieri del Ros che avevano alzato il velo sugli gli organigrammi e gli affari del clan, accertando un rapporto stretto tra i componenti della cosca e alcuni imprenditori nel settore della distribuzione alimentare che avrebbero messo a disposizione della mafia le proprie imprese. Furono ricostruite numerose estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti. Le «famiglie», che controllavano le feste padronali del quartiere scegliendo i cantanti neomelodici, inoltre imponevano le forniture di bevande ai titolari di una sala ricevimenti e avrebbero anche organizzato una rapina ad un rappresentante di orologi preziosi.

Le indagini avrebbero consentito di conoscere gli attuali assetti associativi delle cosche che compongono lo storico mandamento protagonista delle più importanti vicende di Cosa nostra cittadina. Tante le voci nel libro contabile del sodalizio che aveva perfino creato una cassa comune dove versare o soldi per sostenere le famiglie dei detenuti. Ma non mancavano di certo i canali classici di finanziamento: dalla droga, alle estorsioni, alle attività di svago come feste di quartiere e cantanti da arruolare per affermare il lato «buono» della cosca, sempre attenta a stare vicina ai bisogni dei cittadini. Un vero para Stato. Proprio come sindaci e politici, i boss amministravano tutto, anche la viabilità in caso di feste rionali, finite tra le carte dell’inchiesta. Secondo gli investigatori, sarebbe stato chiesto del denaro ai commercianti della zona per l’organizzazione degli eventi e in prima persona gli indagati si sarebbero occupati degli aspetti della logistica e della sicurezza urbana, delle modalità di chiusura delle strade e della somministrazione degli alcolici. Al pari di un organo giudicante o di una agenzia di servizi e d'intermediazione, gli indagati hanno protetto o posto rimedio a reati subiti da privati.

 

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