Confermate anche dalla quarta sezione della Corte d’appello, presidente Vittorio Anania, le condanne per gli allevatori di Giardinello Vito e Salvatore Abbate, di 74 e 45 anni, rispettivamente a 4 e a 3 anni di reclusione, per i reati di pascolo abusivo, rapina, minacce ed estorsione, aggravate dal metodo mafioso, oltre a un risarcimento di 10 mila euro e al pagamento delle ulteriori spese processuali. I due, padre e figlio, avevano denunciato l’avvocato Fabio Tringali per il reato di riduzione in schiavitù, in maniera da entrare in possesso di un terreno di cui era proprietario a Partinico. Una volta del tutto scagionato da quelle accuse fondate sulle testimonianze dei due Abbate, Tringali era passato al contrattacco e già la sentenza di primo grado, pronunciata nel dicembre del 2021 dalla terza sezione del Tribunale, aveva dato ragione all’avvocato, mettendo nero su bianco l’atteggiamento vessatorio e violento che i due allevatori avrebbero riservato al professionista. Gli Abbate avevano accusato il legale, sostenendo che questi avesse segregato e costretto a vivere in condizioni di degrado un cittadino indiano allora di 38 anni, che lavorava nelle sue campagne. Pure l’uomo aveva raccontato che, dopo cinque mesi di presunta prigionia, sarebbe riuscito a fuggire dalla tenuta, dove l’avvocato lo avrebbe rinchiuso, privandolo del cellulare e dei documenti. Per questo motivo Tringali era stato arrestato, nel 2010: prima era andato in carcere e poi ai domiciliari fino all’assoluzione con sentenza definitiva. E a ulteriore riprova del fatto di come fosse stato vittima di un errore giudiziario, era stato anche risarcito per l’ingiusta detenzione sofferta. Tringali, difeso dai colleghi Mario Bellavista e Giovanni Rizzuti, aveva sempre respinto ogni accusa e dopo quella settimana in cella, i 4 mesi agli arresti domiciliari e il rinvio a giudizio, l’11 dicembre del 2014 era stato assolto perché il fatto non sussiste. La stessa Procura non aveva presentato ricorso, la sentenza era diventata definitiva e i difensori avevano chiesto l’indennizzo, ammesso a luglio del 2020 dalla Corte d’appello: 36 mila euro. Nel frattempo, dopo l’assoluzione di Tringali, Vito e Salvatore Abbate avrebbero cominciato a perpetrare furti ai suoi danni per proseguire con minacce e violenze che gli investigatori hanno avuto modo di accertare: inoltre, in più occasioni, avrebbero portato i loro animali nel terreno di proprietà dell’avvocato, distruggendo parte della recinzione che ne delimita il confine e danneggiando alberi di ulivo e piante nonostante le sue lamentele. Per questo motivo gli Abbate erano finiti ai domiciliari nelle loro abitazioni di Giardinello, con il divieto di trasferire gli arresti in casa a Partinico, per non stare nella stessa zona in cui abitava la persona offesa. I due allevatori, da accusatori, si erano così trasformati in accusati e infine condannati in primo grado, adesso anche in appello.