«Giancarlo Migliorisi è un mio conoscente, stamattina mi ha chiamato chiedendomi di fargli trovare tre grammi di cocaina. Io gliela ho procurata e ci siamo dati appuntamento sotto casa mia. Ho ricevuto trecento euro in cambio della sostanza stupefacente...». Mario Di Ferro, lo chef e imprenditore che gestisce il ristorante di Villa Zito, parla davanti ai poliziotti che lo hanno appena arrestato in via Petrarca, a Palermo, dopo lo scambio droga-contanti. Sono da poco passate le 14,50 di martedì, quando gli agenti della Sezione investigativa e della Squadra mobile, diretta da Marco Basile, lo sentono a verbale dopo averlo perquisito, trovandogli in tasca 300 euro in contanti, e dopo avergli controllato la casa, l’auto e uno scooter senza imbattersi in altra sostanza stupefacente. Come mai i poliziotti siano arrivati puntuali al momento dello scambio tra lo chef-imprenditore e il consulente che lavora nella segreteria del presidente dell’Ars già dalla passata legislatura (Gaetano Galvagno, l’attuale numero uno di Sala d’Ercole, appresa dal web la notizia del suo coinvolgimento nella storia, giovedì lo aveva licenziato) è una circostanza che - è lecito immaginare - si chiarirà nei prossimi giorni.
L’incontro tra Di Ferro e il suo amico-cliente è finito in un’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Paolo Guido, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia, e dal sostituto Giovanni Antoci: la Procura ha acquisito i verbali dei due e ha chiesto la convalida dell’arresto, proponendo i domiciliari. Al termine dell’udienza di convalida, con il pm di turno martedì, Francesca Mazzocco, il gip Ermelinda Marfia ha deciso per Di Ferro gli obblighi di dimora in città e di presentazione al commissariato di polizia della zona in cui risiede, ogni giorno, esclusi i festivi, tra le 18 e le 19. Di Ferro è stato anche segnalato all’autorità giudiziaria per una questione legata a due pistole che - durante la perquisizione - ha dichiarato di tenere nella cassaforte di casa: i due revolver sono detenuti regolarmente, ma non è stato dichiarato il trasferimento dal precedente domicilio.
Nel rapporto investigativo consegnato all’ufficio inquirente diretto da Maurizio de Lucia, i poliziotti ricostruiscono le fasi dell’arresto di Di Ferro in flagranza del reato di spaccio di cocaina: c’è un fuoristrada con un uomo alla guida, che si ferma in via Petrarca in seconda fila, a pochi metri da via Di Marzo e da Villa Zito. Di Ferro si avvicina a piedi, entra dal lato del passeggero: l’uomo alla guida - che si scoprirà essere Migliorisi - gli consegna soldi in contanti e prende in mano qualcosa. Pochi secondi, Di Ferro scende dall’auto e si allontana: scatta il controllo di polizia. A Migliorisi vengono sequestrati tre involucri di plastica bianca del diametro di circa 1,5 centimetri. Contengono 3 grammi di cocaina, come ammette lui stesso, dichiarando di aver pagato in contanti con 300 euro prelevati pochi minuti prima da un bancomat della zona (il nome dell’assuntore si è comunque diffuso anche se, come abbiamo scritto giovedì 6 aprile, di solito non viene divulgato, dato che assumere droga non è un reato: nell’articolo di giovedì anche una nota dei legali dell’ex consulente dell’Ars). L’esame della sostanza contenuta nelle bustine, inviata al gabinetto di polizia scientifica, confermerà: è cocaina, pesa 3,11 grammi. Sentito poco dopo a verbale, Migliorisi dichiarerà di aver acquistato già un’altra volta da Di Ferro la coca, con le stesse modalità, ma di non fare uso abituale di droga.
In via Petrarca, anche Di Ferro viene fermato dai poliziotti. Ammette di aver ceduto la sostanza «al suo conoscente» e di aver ricevuto 300 euro per la vendita. Ma aggiunge: «Voglio precisare che non faccio questo lavoro, ma ho fatto solo da tramite» per favorire l’altra persona. «Sono profondamente dispiaciuto per quanto accaduto. La mia professione è quella di imprenditore e faccio il cuoco presso il bar di Villa Zito».
Il giudice per le indagini preliminari nota che Di Ferro, «pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, si è riportato alle pregresse spontanee dichiarazioni, avvalorando, quindi, il quadro indiziario». E aggiunge come, non essendo «occasionale» la cessione di droga e la capacità con cui «nel giro di poche ore dalla ricevuta telefonata riesce a soddisfare la richiesta» del conoscente e a procurarsi la cocaina, la circostanza non induca «a ritenere lieve la condotta» dell’indagato. Per il gip «sussiste la necessità di porre un freno alla di lui pericolosità», scrive che «trattasi di soggetto che ha reso dichiarazioni volte solo a ridimensionare i fatti, tendendo a rimarcare l’occasionalità che va invece esclusa». Ma alla «luce della parziale ammissione dei fatti» ritiene che «le suddette esigenze cautelari possano essere soddisfatte con una misura meno afflittiva rispetto a quella richiesta, cioè gli arresti domiciliari».
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