Ci sarebbe un regista occulto, un medico con rapporti antichi e stretti con il mondo della sanità palermitana dietro l’ultimo periodo della latitanza di Matteo Messina Denaro. È l’ipotesi della Procura di Palermo, che non ha alcuna intenzione di fermarsi ad Alfonso Tumbarello, il dottore di Campobello di Mazara che per due anni ha prescritto esami e farmaci al capomafia ammalato di cancro e nemmeno a uno dei tanti specialisti che nel tempo hanno avuto in cura il paziente latitante.
Tumbarello e gli altri, un oncologo di Trapani e un endoscopista di Castelvetrano ad esempio, sarebbero tutti step di un percorso sanitario diretto da una sola persona. I magistrati stanno tentando di capire chi sia e se ad esempio possano esserci collegamenti tra il regista occulto e Giuseppe Guttadauro, storico capomafia di Brancaccio, di professione medico, che nel suo mondo conserverebbe ancora molti rapporti.
Le scelte sanitarie di Messina Denaro sarebbero state guidate, dunque. Lo dimostrerebbe la decisione di secretare il fascicolo medico elettronico, mossa che difficilmente il latitante avrebbe pensato spontaneamente, e la scelta di lasciare Mazara del Vallo, dove era stato in cura inizialmente, e affrontare il secondo intervento chirurgico e la chemioterapia alla clinica La Maddalena di Palermo. Guttadauro, recentemente riarrestato per traffico di droga, è da sempre collegato a Messina Denaro: il fratello Filippo, che sconta il cosiddetto ergastolo bianco, è il cognato del capomafia, avendone sposato la sorella Rosalia, recentemente arrestata per associazione mafiosa. In casa della donna è stato trovato il pizzino con una sorta di diario clinico del fratello che poi ha portato gli investigatori sulle sue tracce. Anche questa, per gli investigatori, non sarebbe una coincidenza.
«La messa a servizio dell’esercizio della professione sanitaria agli interessi del più ricercato latitante dell’associazione mafiosa - scrive il tribunale del Riesame di Palermo, che oggi ha depositato le motivazioni del provvedimento col quale ha confermato il carcere per Alfonso Tumbarello - manifesta, anche per ciò solo, la permeabilità del servizio sanitario all’agevolazione degli interessi dell’intera organizzazione e dei suoi più rappresentativi esponenti, così da perpetuarne l'operatività».
In definitiva, proseguono i giudici, «l’indagato si trova ancora al centro di quel crogiuolo di relazioni territoriali e sanitarie, tutte da accertare, che hanno condotto e concorso alle mistificazioni necessarie a garantire nel tempo, la latitanza del boss e che, al contempo, valgono a radicare il pericolo della ripetibilità di analoghe condotte in favore dell’associazione mafiosa, con la messa a disposizione delle personali competenze e conoscenze nello specifico ambito sanitario».
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