Per provare un furto di energia elettrica non è sufficiente la semplice registrazione dell'alterazione dei consumi ma occorre la dimostrazione tecnica che il contatore è stato manomesso. Lo stabilisce una sentenza della Corte di cassazione che ha accolto il ricorso di un commerciante palermitano precedentemente condannato in secondo grado. Il 12 luglio del 2021 l'imputato era stato giudicato dalla Corte d'appello di Palermo responsabile del reato di furto di energia elettrica. L'uomo, difeso dagli avvocati Vincenzo Giambruno, Alessandro Martorana e Silvana Tortorici, aveva impugnato la sentenza facendo ricorso in Cassazione. Nella sentenza dello scorso 12 dicembre la suprema corte ha ravvisato che la manomissione del contatore era stata motivata solo dall'alterazione nella registrazione dei consumi. Ma per dimostrare che vi sia stato un furto di energia non basta registrare una percentuale inferiore di consumi rispetto al dato effettivo o trovare la "calotta" del contatore aperta. È stata dunque contestata la mancanza della prova tecnica, considerato anche il fatto che i contatori dell'edificio erano accessibili a chiunque e che la verifica non era avvenuta alla presenza della moglie dell'imputato «la quale si era limitata a sottoscrivere il verbale». «Abbiamo sostenuto l'illegittimità dell'accertamento condotto da una ditta privata, l'Enel, in assenza di garanzie previste dalla legge che invece prevede la nomina di un tecnico - commenta l'avvocato Martorana -. L'uso di una sola apparecchiatura esterna non dà contezza dell'eventuale alterazione. Per questo la difesa ha sottolineato il difetto di un accertamento tecnico in quanto tale nel contraddittorio delle parti». La Cassazione ha così annullato la sentenza con cui l'imputato era stato condannato, rinviando il caso ad un'altra sezione della Corte di appello di Palermo.