L’ultimo pensiero è andato alla speranza. «Non perdetela mai» è l’ultimo messaggio che fratel Biagio Conte ha consegnato ai suoi collaboratori prima di morire nella sua Palermo. Quasi un testamento nel quale viene ripresa e ripetuta la parola che simbolicamente riassume lo spirito della missione «Speranza e carità». A quel presidio di solidarietà aperto ai poveri e ai diseredati, ai migranti senza conforto e ai disperati senza un tetto Biagio ha dedicato 33 dei suoi 59 anni. Ne aveva 26 quando, dopo essersi allontanato dalla famiglia, era tornato a Palermo a riprendere i fili di un’esistenza complessa. Ma già segnata dall’idea di correre in soccorso di chi ne aveva bisogno. È nata così la «sua» missione. È nata, ha sempre ripetuto, sulla strada, sotto i portici della stazione, tra i vagoni usati come ricovero da vagabondi, alcolisti, ex detenuti, migranti. Fratel Biagio li ha sempre chiamati «fratelli». Per loro ha lottato, si è speso, ha digiunato per ottenere prima una struttura in via Archirafi, vicino proprio alla stazione. E poi ne ha avuto un’altra e poi un’altra ancora. Adesso la missione compone una «rete» di nove comunità: otto per uomini, una per donne e mamme con bambini. Quasi 600 persone trovano qui un pasto caldo, un vestito, un maglione. Ma anche la spinta e il sostegno necessari per trovare e svolgere un lavoro. Nel tempo fratel Biagio ha costruito, con il suo carisma, un modello unico di solidarietà. Non sono mancati naturalmente i donatori e i volontari. Ma negli ultimi tempi i morsi della crisi si sono fatti sentire, tanto che il missionario adorato come un santo laico ha dovuto lanciare appelli per pagare le bollette. E lo ha fatto mentre il male inesorabilmente lo aggrediva e lo sfiancava. Destinatarie dei suoi appelli erano le istituzioni che, come riconosce l’ex sindaco Leoluca Orlando, a fratel Biagio devono molto. «A lui tutti hanno delegato tutto», dice mentre si reca a rendergli omaggio nella stanzetta dell’alloggio della comunità di via Decollati, prima e improvvisata camera ardente per Biagio Conte vegliato dai suoi amici più stretti e da alcune suore che hanno intonato canti di gioia. Tra questi alloggi, laboratori, percorsi e la chiesa di quella che fu una caserma dell’aeronautica militare si aggirano tanti amici di Biagio. Tutti a chiedersi che cosa accadrà senza di lui nel mondo dei disperati. È anche la domanda inespressa ma tangibile che accoglie le «autorità», dal presidente della Regione Renato Schifani al sindaco Roberto Lagalla, che arrivano in gruppo, si fermano a lungo davanti al corpo addormentato di fratel Biagio e vanno via spendendo poche parole. Non solo a loro viene, per la verità, consegnata l’eredità pesante richiamata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella di un uomo che ha speso la vita per aiutare chi ne aveva bisogno. E lo ha fatto con le battaglie generose e i digiuni prolungati come quello del 2018. Dopo la morte in strada di alcuni senzatetto era andato a dormire sotto i portici del palazzo delle Poste centrali. Lo sciopero della fame era durato dieci giorni. E dopo quella protesta la Regione aveva finanziato l’ampliamento della struttura di via Decollati. Proprio qui era venuto Papa Francesco il 15 settembre 2018 a mangiare in compagnia di fratel Biagio e di altre 160 persone tra poveri e volontari tra cui un disabile. Ha voluto così testimoniare il suo sostegno alla missione che per Mattarella è un «punto di riferimento, non soltanto a Palermo, per chi crede nei valori della solidarietà e della dignità della persona». Valori che Biagio Conte ha, secondo il capo dello Stato, «testimoniato concretamente, in maniera coinvolgente ed eroica». Grande è in queste ore il dolore di Palermo, che osserverà il lutto cittadino, cominciato subito con le bandiere a mezz'asta negli edifici pubblici e nelle scuole, fino a martedì quando in cattedrale saranno celebrati i funerali solenni. Lo ha voluto l'arcivescovo Corrado Lorefice, il primo a correre alle otto di mattina in via Decollati.