Palermo

Martedì 30 Aprile 2024

I boss di Palermo centro volevano fuggire, è caccia alla talpa

Chi avrebbe spifferato al boss Francesco Mulè e al figlio Massimo, ritenuti a capo della famiglia di Palermo centro, che le forze dell’ordine stavano indagando di loro? È questo il nuovo filone che stanno seguendo gli inquirenti all’indomani del blitz che ha inferto un duro colpo al clan. Secondo la Procura, i due stavano progettando di scappare perché sentivano il fiato sul collo dei carabinieri, come hanno sottolineato gli stessi magistrati nell’ordinanza che ha decretato nove fermi, disposti dalla Dda, nei confronti di altrettanti esponenti del mandamento mafioso di Porta Nuova, accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, consumata e tentata con l’aggravante del favoreggiamento e traffico di droga: «Sono emerse preoccupanti fughe di notizie che hanno consentito ai membri del sodalizio di apprendere dettagli delle indagini in corso sul mandamento di Porta Nuova e della famiglia di Palermo Centro», scrivono il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Giovanni Antoci, Luisa Bettiol e Gaspare Spedale. Inoltre, a spaventare i due Mulè sarebbero state anche due sentenze in arrivo, quella di appello del processo «Cupola 2.0», che dovrebbe essere emessa martedì prossimo, e quella relativa al processo «Buttafuori», con il giudizio in Cassazione fissato al prossimo 18 gennaio che nel caso del rigetto del ricorso porterebbe Massimo, 50 anni, detto «U nicu», all’immediato arresto. Agli atti dell’indagine c’è anche una conversazione intercettata in auto tra Mulè senior e un interlocutore, nella quale parlano di un «ragazzino» che doveva aver preso la patente per fare da autista al di sopra di ogni sospetto ai due: «Parlando con te, vogliamo partire... - diceva il vecchio boss -. Questo se l’è presa la patente, chiddu, u picciuttieddu... Buono buono, glielo lasciamo a lui e tu vieni con me. Io come faccio il viaggio?». Il progetto di entrambi sarebbe stato quella di allontanarsi: una contestazione che ieri il gip Fabio Pilato ha mosso durante l’interrogatorio di garanzia a Mulè padre e figlio, difesi dagli avvocati Giovanni Castronovo e Marco Clementi. Il più giovane dei Mulè si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma la difesa ha presentato tutti i verbali del processo «Cupola 2.0» per dimostrare che il figlio dello storico capomafia non ha saltato un’udienza del processo in cui è imputato, né ha mai mancato all’obbligo di firma in commissariato, a dimostrazione di non avere mai pensato di tagliare la corda. Per Francesco Mulè, 76 anni, i legali hanno invece chiesto di verificare se esistano le condizioni per la detenzione in carcere: l’anziano uomo d’onore, infatti, soffrirebbe di una grave malattia polmonare, per la quale fu mandato ai domiciliari già nel 2003, quando era detenuto nel penitenziario di Tempio Pausania. Ieri, oltre ai Mulè, sono stati interrogati nel carcere dei Pagliarelli anche Gaetano Badalamenti, difeso dall’avvocato Michele Giovinco, Francesco Lo Nardo, difeso dall’avvocato Sergio Toscano, Giuseppe Mangiaracina, difeso dall’avvocato Debora Speciale, Alessandro Cutrona, difeso dall’avvocato Rosanna Vella, Calogero Leandro Naso, difeso dall’avvocato Antonino Turrisi, e Salvatore Gioeli, difeso dall’avvocato Debora Speciale. Oggi, 17 dicembre, il gip dovrebbe decidere sulla convalida dei fermi.

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