Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Il blitz di Misilmeri: l'estortore fotografato e registrato dall'imprenditore

Chiedere il pizzo - è il caso di dirlo - non paga più. È poco redditizio rispetto al rischio di essere arrestati e soprattutto è molto pericoloso, se l’autore dell’estorsione è disattento e poco abituato a maneggiare gli smartphone di ultima generazione, quelli per intenderci che con un semplice clic scattano foto professionali e registrano l’audio con una perfezione in stile sala di incisione. A sostenerlo non sono solo gli investigatori, che hanno indagato e approfondito il fenomeno del racket, ne sanno qualcosa anche i diretti protagonisti, gli stessi uomini d’onore della famiglia mafiosa di Misilmeri, beffati da un telefono cellulare con il quale un imprenditore ha immortalato tutte le fasi della trattativa per... mettersi a posto.  Un passaggio che il clan considerava obbligato se la ditta incaricata dei lavori voleva evitare che la criminalità organizzata creasse problemi all’interno del cantiere, che disponeva anche di un escavatore nuovo, del valore di circa 140 mila euro. È quanto emerge dalle carte dell'operazione Fenice, l'inchiesta che ha portato in carcere sei membri, tra capi e gregari, della cosca mafiosa di Misilmeri. Il procuratore della società che stava realizzando per conto di un’altra ditta un impianto di distribuzione di Gpl a Portella di Mare, una frazione di Misilmeri, ha 55 anni. Non è un eroe - anche se ha reso testimonianze pubbliche con Addiopizzo, che l’ha sostenuto e accompagnato a denunciare - ma forse solo un uomo stufo di subire. Aveva sgamato subito il proprio estortore, facendolo identificare dai carabinieri grazie a una foto scattata di nascosto, in cui si vedevano lui e la targa del suo motorino. Eppure, Benedetto Badalamenti, 52 anni, inviato dai boss per imporre il pizzo, non si era accorto proprio di nulla. Altro che identikit, per gli inquirenti è stato facilissimo risalire all’identità dell’uomo: è bastato controllare alla motorizzazione a chi appartenesse il suo Honda Sh 300, incrociare i dati dell’anagrafe e infine fare il confronto con il suo profilo Facebook per riconoscerlo e metterlo sotto sorveglianza, in maniera da seguire tutte le sue mosse. Ma ad incastrarlo c’erano anche le registrazioni con cui l’imprenditore aveva documentato i contatti col gregario mandato a chiedere il pizzo. A segnalare al titolare della ditta la presenza in cantiere dell’emissario della famiglia mafiosa di Misilmeri era stato un piccolo sub-appaltatore, che aveva ricevuto la visita di Badalamenti: il picciotto si sarebbe rivolto a lui promettendo di ripresentarsi l’indomani - cioè il 3 gennaio di quest’anno - per «regolarizzare» la situazione. «Era arrivato lo stesso soggetto del giorno prima a bordo di un Sh di colore grigio - ha fatto mettere a verbale la vittima nella sua denuncia - vestito con un piumino lucido con cappuccio a righe orizzontali, sciarpa grigio nero, borsello a tracolla di colore marrone, jeans e scarpe Adidas di colore blu: era con pochissimi capelli e barba minima brizzolata. In un suo momento di distrazione ho scattato una fotografia con il mio cellulare: in chiaro accento palermitano, precisava che la messa a posto era per continuare a fare i lavori senza alcun problema e dietro pagamento di una somma di denaro. Gli esponevo che dovevo sentire i miei capi per avere l’autorizzazione e anche lui dichiarava che doveva rapportarsi con i suoi». L’imprenditore, quindi, prese tempo, rimandando l’incontro decisivo a qualche giorno dopo, ma nel frattempo sarebbe riuscito a registrare l’intera conversazione con il suo iPhone, consegnandola come prova ai carabinieri che l’hanno messa agli atti per dimostrare che la richiesta di denaro proveniva da esponenti ben più alti nella scala gerarchica mafiosa. «Sì... io... ehh... è come una catena di montaggio... Va bene... io ora parlo con loro... venerdì io vengo qua e vi faccio sapere...», diceva Badalamenti all’imprenditore, fissando l’appuntamento successivo. Al quale, però, il mafioso non si presentò mai perché, dopo una serie di riunioni al vertice nel bar di via Rocco Jemma, scelto come base operativa, il suo superiore Alessandro Ravesi - braccio destro del capofamiglia Cosimo Michele Sciarabba - decise di incaricare della questione il suo fedelissimo Salvatore Baiamonte. «Un ci iri all’appuntamento (non andare all’appuntamento, ndr)», era stato l’ordine di Ravesi: in paese, infatti, si era sparsa la voce che Badalamenti era stato scoperto e addirittura fotografato e per questo i boss erano preoccupatissimi.

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