Dalla Guadagna allo Zen per incassare i soldi dello smercio di droga, almeno due visite a settimana per prendere il danaro dello spaccio. Il gruppo di Salvatore Profeta, nipote omonimo dello storico boss scomparso, sembra avere esteso i suoi affari anche in altre aree di Palermo e le indagini dei carabinieri hanno fatto emergere solidi rapporti con esponenti dello Zen anche in virtù di stretti vincoli familiari. La madre di Profeta, Monica Meli, finita ai domiciliari nell’operazione Navel della scorsa settimana contro i clan di Santa Maria di Gesù e Villagrazia, gruppi criminali da sempre molto attivi sul fronte del traffico di stupefacenti, è cugina di primo grado della moglie di Nicola Messina, l’uomo al quale sarebbe stato affidato il compito di gestire il business tra i padiglioni del quartiere popolare. Salvatore Profeta e i suoi fedelissimi, tra i quali Girolamo Rao, avrebbero preso almeno 1.500 euro per volta da Messina, somme da dividere poi in quote da destinare anche a Massimo Mancino e Francesco Guercio, anch’essi finiti in manette nell’operazione antimafia. Sulla base delle intercettazioni e dei risultati investigativi, Messina risulta «stabilmente inserito nel traffico di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente e ha ripreso l’attività al termine del periodo di carcerazione a seguito della concessione della detenzione domiciliare». Ma per lui il lavoro non sarebbe stato semplice, anche a causa di dissidi con i pregressi fornitori, i quali - al rientro in libertà - gli avevano negato la fornitura a credito di nuove partite di droga, a causa di debiti pregressi e non ancora saldati. L’uomo, parlando con Rao e Profeta senza sapere di essere intercettato, si lamenta del trattamento ricevuto, considerandolo come una «riprovevole mancanza di rispetto e di fiducia» nei suoi confronti da parte dei fornitori, riusciti ad espandersi mediante clienti danarosi. Dalle sue parole emerge anche quanto sia grande il volume d’affari: «Io con loro ci lavoro da dodici anni... quando mi lasciavate dieci chili di immondizia e ve la facevo uscire era buono! Ora avete il coso buono... vi portano i contanti e le persone le buttate... è giusto? Le persone le buttate... che io te li ho fatti conoscere; cinquanta persone dello Zen, di Mondello, di Sferracavallo. Te li portavo io là, cinque chili, tre chili. Te lo sei dimenticato o non te lo ricordi? Ora non servo, è giusto? Perché sono senza soldi. Dico: ti deve dare soldi quello? Qua non ci venire più che il quartiere è il mio». Qua a lui non gli faccio vendere più neanche un grammo di fumo». Messina chiede a Profeta e Rao, riconoscendo le loro figure di referenti della famiglia di Santa Maria di Gesù, di dirimere il contrasto creatosi con tale Giovanni: «Vi devo regalare la cento euro per sbrigarmi questa cosa? Vedi che questo discorso ha di più di un mese e magari di più». Rao afferma di avere già incontrato tale Paolo e di avere già discusso del problema. Il gruppo degli eredi di Salvatore Profeta è attraversato da contese e dissidi familiari, soprattutto tra le donne. In particolare i contrasti riguardano da un lato Vincenzo Profeta con la moglie Monica Meli, accusata di avere coperto il figlio e di essersi disfatta degli appunti con la contabilità del gruppo durante una perquisizione delle forze dell’ordine, e dall’altro la sorella Concetta Profeta, moglie del capodecina detenuto Francesco Pedalino, originario dello Zen e parente diretto della famiglia Meli. Una situazione di tensione al centro delle attenzioni degli uomini di Cosa nostra che provoca non poco imbarazzo, poiché ha assunto le dimensioni di un gossip, così come commentano alcuni indagati. «Gossip della Guadagna, gossip di Palermo, perché lo sanno tutti, che vergogna». I commenti si soffermano sull’impossibilità di intervento da parte di Pedalino, che si trova in carcere: «Cosa può fare quel ragazzo dalla galera?». L’orientamento è di non intervenire nella faccenda: «Non possiamo fare niente, non si deve immischiare nessuno. Le cose familiari non ci interessano».