Palermo

Lunedì 25 Novembre 2024

Palermo, il ritorno del padrino e il pizzo anche a «chi a malapena può mettere la pignata»

Fermo immagine dal video diffuso dalla polizia

Totale e violentemente persuasivo. Perché il padrino era tornato e nulla poteva sfuggire al suo controllo nel mandamento, un regno esteso tra Noce, Malaspina, Cruillas e Altarello, da sempre roccaforte della mafia. Metodo, organizzazione e fedeltà soprattutto, come regola impone ad ogni «combinato». E Carmelo Giancarlo Seidita, 47 anni, già condannato definitivamente nel 2012 per associazione mafiosa, quel vincolo battezzato con il sangue davanti ai fratelli Calogero e Sandro Lo Piccolo non l’aveva mai sciolto. «È ormai nota la regola, della cui perdurante operatività non è in alcun modo consentito dubitare - si legge nell’ordinanza - secondo la quale il legame di un associato con Cosa nostra, come aveva raccontato Tommaso Buscetta, può essere interrotto soltanto dalla morte o da collaborazione con l'autorità giudiziaria». Seidita ha mantenuto fede al patto, a costo di tornare in carcere. È successo ieri, dopo l’operazione «Intero mandamento», condotta dalla squadra mobile sotto la direzione del procuratore aggiunto della Dda Paolo Guido, che ha coinvolto altri otto indagati, alcuni più che recidivi. È la riflessione che viene fuori dalle carte firmate dal gip Alfredo Montalto, che ha accolto le richieste dei pm Dario Scaletta e Giovanni Antoci. Nonostante gli anni passati in cella, gli affiliati rinnovano l’operatività criminale già «il giorno prima» della fine della detenzione, sottolineano gli inquirenti. Con Seidita, rientrato in scena in grande stile come capo dei capi della Noce, sono finiti nuovamente al Pagliarelli: Giacomo Abbate, 32 anni, Salvatore Cinquemani, 42 anni, Angelo De Stefano, 41 anni, Guglielmo Ficarra, 63 anni, Daniele Formisano, 47 anni, Giovanni Giordano, 49 anni, Vincenzo Landolina, 33 anni, Carmelo Giancarlo Seidita, 47 anni. Ai domiciliari Francesco Scaglione, 75 anni. C’era l’occhio da Grande Fratello su ogni attività che si svolgeva nel mandamento: dai furti, al pizzo, alla acquisizione delle attività commerciali e imprenditoriali, fino a stendere la «longa manus» sul voto nelle competizioni elettorali. Oltre a mettere il bollo su permessi, autorizzazioni e concessioni. Erano i clan, riuniti spesso nei parlamentini improvvisati da Seidita, a programmare le attività attraverso la forza dell’intimidazione che costringeva le vittime all'omertà assoluta anche quando venivano defraudate della titolarità delle loro aziende. Tutto doveva passare dal sigillo della mafia. Lo sa bene un imprenditore edile che deve avviare una ditta in via Lancia di Brolo. Parlando con un collaboratore, gli svela il meccanismo: «C'è bisogno di fare tutte queste cose, sai perché siccome sto facendo dei lavori ho dovuto domandare... e che ti pare come funziona». «Ma sei cretino?», replica l’altro. E lui risponde, rassegnato: «Non sono cretino, è la realtà». Seidita viene messo a capo del mandamento in virtù del suo lignaggio mafioso. Come si evince dalla conversazione tra due indagati, il nuovo capo aveva dato indicazioni sulla gestione del pizzo da imporre ai commercianti, oltre ad alcune «esenzioni» decise da lui stesso. Il riconoscimento da parte degli affiliati del suo ruolo direttivo viene fuori da una conversazione tra sodali: «Questo ha un vissuto, non stiamo parlando di chiunque... la forza ce l'ha, tutti con lui sono... Non parliamo di una famiglia. Parliamo di un mandamento». Nel corso di una riunione del vertice mafioso, sarebbe stato rimproverato al capo famiglia della Noce l’avvenuto aumento di nuove attività commerciali che andavano sottoposte a un più incisivo controllo. L’uomo aveva obiettato sui rischi connessi ad una sua sovraesposizione nella riscossione, visto che sarebbero state coinvolte attività di poco conto e ciò avrebbe creato malcontento. «Ti dico una cosa, se ci escono 1000 euro di qua alla fine... però che tu vai da chi a malapena può mettere la pignata, poi rompi i telefoni». Il capo del mandamento aveva chiesto a ogni «famiglia» il censimento di tutte le attività della zona, per stendere a tappeto le estorsioni. E i clan avevano obbedito. «Ora stiamo facendo l'autosalone e poi facciamo tutti i motori, poi facciamo tutte le biciclette... Poi facciamo tutti quelli che aprono, gli ambulanti tutti... lui ci sta andando gradatamente, fino a quando ha tutte cose belle assistemate... Sennò io mi vado ammazzando con le persone». Si passava dalle casse di Cosa nostra pure per ottenere l’autorizzazione a installare alcuni distributori a gettoni negli esercizi commerciali o per acquistare un parcheggio con il preciso divieto di avviare l’attività di autolavaggio. Se i commercianti in crisi a causa della pandemia osavano ribellarsi al pizzo e rispondevano a tono all’estorsore, scattavano le violenze. Che non servivano, invece, per gli affari di routine: scommesse on line e droga. Le indagini della squadra mobile diretta da Marco Basile sono seguite all'arresto, il 4 giugno del 2020, di Salvatore Alfano, allora reggente del mandamento Noce-Cruillas, succeduto a Giovanni Nicoletti, arrestato nel 2018 e poi deceduto nel 2020. Miravano a individuare altri associati alla famiglia mafiosa già decapitata. Ma che, come le lucertole, vivono anche con la coda tagliata.        

leggi l'articolo completo