Palermitani adottati 50 anni fa, storie e misteri a Baida. "Così ho ritrovato i miei genitori biologici"
Via Francesco Baracca 162 non è solo un indirizzo. È un codice genetico. «Nato a Baida» non è semplicemente un dato anagrafico. È un tratto distintivo, un marchio di fabbrica. Rivela l'anima comune che conservano decine di siciliani venuti al mondo nell'arco di un ventennio tra i primi anni Sessanta e i primi anni Ottanta in quella che una volta era la Casa Madonna delle Grazie di Baida, antica borgata palermitana alle falde di Monte Cuccio. Il 24 settembre 1973, in quell'edificio, nacque Milena Rosa Pedone: al di là di una data, di un cognome fittizio e di una neonata adottata subito dopo il parto, c'è la storia di una donna che una volta cresciuta ha fatto di tutto per scoprire le sue origini e nonostante una legge troppo vecchia e certificati di nascita introvabili, ci è riuscita.
Nati a Baida
Quella di Milena, oggi all'anagrafe Milena Lazzarone, è una delle tante storie dei "nati a Baida", concepiti all'ombra dello scandalo, figli del segreto e di giovani donne che partorivano lontano da occhi indiscreti e che, per pudore o per volontà della famiglia, si separavano subito dopo il parto dalle creature che avevano portato in grembo. I nati nell'istituto di via Francesco Baracca oggi sono uomini e donne più o meno cinquantenni. Chi sa di essere venuto alla luce nella Casa Madonna delle Grazie sa anche di essere stato adottato. Come quel gruppo di 17 palermitani che fra loro si chiamano "fratelli", che sono ormai quasi come una famiglia perché hanno scoperto di avere lo stesso destino: vogliono trovare i genitori biologici. I nati a Baida hanno formato un gruppo su Whatsapp e si abbracciano calorosamente quando si rivedono, come è accaduto nei giorni scorsi proprio in via Francesco Baracca 162. Alcuni di loro non erano mai stati lì, altri invece conoscono bene quel posto perché è stato il punto di partenza delle loro ricerche. Tutti hanno sentito parlare di quei 100 gradini che separano il cancello dalla porta d'ingresso e hanno ben chiara la storia dell'istituto, che oggi si chiama Centro Diocesano Giovanni Paolo II. La struttura, fino ai primissimi anni Ottanta era gestita dai coniugi Maria Ghelfi ed Enzo Polloni, entrambi lombardi e terziari francescani, ma prima della loro morte decisero di donare la loro proprietà alla Curia. Adesso è soprattutto dimora di un inquilino che appartiene al mondo clericale, che però al momento non ha dato la sua disponibilità ad aprire le porte del centro alle telecamere. Anche i "fratelli" di Baida si sono dovuti accontentare di scrutare solo dall'esterno quel luogo che ha dato loro i natali e attorno al quale hanno fondato le loro indagini. Sono come investigatori e hanno tutti l'obiettivo di rintracciare i genitori biologici. Una missione ardua perché i documenti, ovvero i certificati di assistenza al parto, non si sa dove siano finiti, dunque non c'è traccia delle rispettive madri. Ecco perché i nati a Baida sono ormai una comunità, naviganti sulla stessa barca. Si sono "radunati" questa volta davanti a quella che fu la loro prima casa e ognuno ha lanciato un appello nella speranza che la madre naturale lo ascoltasse e si facesse avanti. Al loro fianco, da sempre, c'è Sabrina Anastasi, referente per la Sicilia del Comitato nazionale per il Diritto alle origini che ha anche messo a disposizione un indirizzo mail a cui le madri che accolgono gli appelli o i figli adottati possono scrivere: natiabaida@gmail.com. "Invitiamo a contattarci e a non avere remore anche perché garantiamo la privacy", sottolinea Sabrina Anastasi.
La storia di Milena
Per i nati a Baida la ricerca dei genitori è un istinto naturale. C'è chi lo sta facendo da tempo, chi non si arrende e lancia un appello alla madre biologica chiedendole di farsi avanti e c'è anche chi, dopo anni di indagini, è riuscito a risalire alle proprie origini. La storia di Milena Lazzarone è esemplare. Aveva 8 anni quando per puro caso, durante un ricovero in ospedale, venne a conoscenza di essere stata adottata. Una scoperta che segnerebbe chiunque, figuriamoci una bambina di quell'età.
La storia di Francesca
Tra le storie di Baida c'è anche quella di Francesca (nome fittizio per sua richiesta), nata alle 5,30 del mattino del 22 gennaio 1967. Cerca ancora la madre biologica, ma nel corso degli anni si è imbattuta in un'altra sorpresa: ha un fratello gemello. A 20 anni lo ha cercato, lo ha trovato e per poterlo incontrare ha finto di rimorchiarlo. Al momento dell'incontro, però, quando gli ha svelato di essere in realtà sua sorella gemella lui non ha voluto saperne e il loro rapporto si è chiuso lì. «Da piccola mi arrivavano continuamente voci che alludessero al fatto che avessi un gemello - racconta -. All'inizio non ci davo peso, poi però ho deciso di andare fino in fondo. Ma quel che vorrei davvero è trovare mia madre, quante donne hanno partorito due gemelli, un maschio e una femmina, in quel periodo?», si chiede.
Le carte che non si trovano e il disegno di legge
Se solo si trovassero i certificati di assistenza al parto sarebbe tutto molto più semplice. Ma nessuno sa dove siano finiti e i coniugi Polloni che gestivano la struttura sono scomparsi molti anni fa così come un medico e un’ostetrica che intervenivano al momento del parto. Una mano a chi vuole conoscere le proprie origini non arriva neppure dalla legge. Un impianto normativo troppo vecchio è un ostacolo per le ricerche. L’articolo 28 della legge 183 del 1984 sulle adozioni consentiva al figlio non riconosciuto alla nascita di risalire alla madre biologica solo dopo aver compiuto 100 anni, dunque impedendo praticamente a tutti questa possibilità. Ma c'è una sentenza del 2017 della Cassazione a sezioni unite, che attualmente consente a chi ha compiuto 25 anni di presentare un'istanza al tribunale per conoscere il nome della madre. Affinché il ricongiungimento vada a buon fine c'è però una condizione: la mamma deve dare il consenso, ovvero deve revocare l'anonimato dato alla nascita. Attualmente, di fatto, resta un vuoto normativo. La modifica di legge, che attualmente è in discussione in Commissione Giustizia al Senato, è dunque indispensabile e sulla sua approvazione si sta battendo da anni il Comitato per il Diritto alle origini con sede a Napoli e guidato dal presidente Anna Arecchia e dalla vice Emilia Rosati.