Dopo il blitz con 31 arresti di martedì scorso a Palermo è caccia all’arsenale della cosca di Ciaculli. La disponibilità di diverse pistole e di fucili emerge a chiare lettere dalle intercettazioni tra Emanuele Prestifilippo, gestore di un maneggio, e il suo uomo di fiducia, Cosimo Salerno, rispettivamente di 51 e 44 anni, entrambi finiti in manette nell’operazione condotta da carabinieri e polizia. In base alle valutazioni degli inquirenti, i due avrebbero custodito in un luogo segreto, probabilmente in una cassapanca sotterrata in un giardino, almeno sei pistole: una calibro 38, tre 7.65, una 22 e una 32 e un silenziatore, oltre alle munizioni. I due, già arrestati un paio di anni fa per possesso di armi, sarebbero stati gli armieri del clan e oltre a lavorare insieme nel maneggio sono legati da un rapporto di «cooperazione nella commissione di vari illeciti - spiega il giudice Lirio Conti nell’ordinanza di custodia -, tra cui certamente la coltivazione di sostanze stupefacenti e la detenzione di armi da fuoco». Le microspie piazzate sull’Opel Agila di Salerno hanno svelato anche gli affari legati alle rivoltelle. Prestifilippo racconta della visita di alcuni personaggi interessati a prendere un revolver, ma Salerno dice di non averlo. Il suo interlocutore invece è sicuro che ci sia: «Ma che stai dicendo, è dentro la casa, dentro il borsello. Te l’ho data io, ce la siamo andati a prendere dai Teresi, non mi fare fondere il cervello». I due parlano anche delle 7.65. E Salerno precisa: «Quelle nel borsello erano le sette e sessantacinque, poi ne sei andato a prendere una che era tutta male combinata e arrugginita, sono arrivato e l’ho pulita. Poi sono andato a conservarla… col silenziatore. Sono tre 7.65, un trentotto ed una ventidue». In un’altra intercettazione compiuta sulla Fiat Panda 4x4 usata da Prestifilippo, i due parlano anche di armi lunghe. Nel colloquio si fa cenno a un fucile calibro 12 e ad un’altra arma dello stesso modello con problemi di funzionamento all’espulsore della cartuccia. Nella circostanza, discutono anche della necessità di nascondere meglio l’arsenale e di fare ricorso a una cassapanca da rivestire con materiali isolanti per evitare infiltrazioni e ripararla dal terreno umido, visto che andava sotterrata. Cosimo Salerno racconta anche di essere andato a caccia di notte con un fucile perfettamente funzionante e di avere ucciso un coniglio, mentre in un’altra intercettazione nei pressi del maneggio di Ciaculli gli investigatori sentono in sottofondo diversi colpi di arma da fuoco, forse il segno della presenza di qualcuno che stava esercitandosi a sparare. E, ancora, i due parlano di un moschetto, ripromettendosi di provarlo con una cartuccia calibro 32, e dell’alterazione di un’altra arma in loro possesso. Gli investigatori hanno compiuto diverse perquisizioni per tentare di recuperare pistole e fucili, ma sino ad oggi l’arsenale non è stato trovato. Nel corso delle indagini, i due indagati erano stati fermati dai carabinieri. Il 29 ottobre in un casolare di Ciaculli era stato bloccato Prestifilippo, trovato con una doppietta Beretta, una carabina ad aria compressa e diverse munizioni, mentre Salerno era stato arrestato il 2 febbraio dello stesso anno dai militari della compagnia di Misilmeri perché trovato in possesso di un fucile a canne mozze calibro 12 rubato a San Cipirello. Dopo le scarcerazioni, i due sarebbero tornati ai loro consueti affari criminali. Sino al nuovo arresto nel blitz di due giorni fa. Tra i loro business ci sarebbero stati anche la coltivazione di marijuana e lo smercio di stupefacenti. Un capitolo delle attività criminali dei clan che si muovono tra Brancaccio e Ciaculli in grado di muovere centinaia di migliaia di euro e consentire facili arricchimenti. Proprio al traffico di droga sono dedicate numerose pagine dell’ordinanza di custodia cautelare contro i trentuno personaggi arrestati nel blitz. Tra i principali protagonisti del giro c’è Antonio Lo Nigro. Nelle campagne di Ciaculli la produzione di canapa indiana «a chilometro zero» è molto diffusa. L’«erba» finiva sulle piazze di spaccio, consentendo di limitare i rischi del trasporto . Secondo l’accusa, nelle «sei piazze di spaccio dello Sperone», tutte direttamente gestite o comunque controllate dai componenti dei clan, entravano nelle casse di Cosa nostra circa 80 mila euro a settimana. Per i rifornimenti di altre sostanze, poi, i palermitani erano in contatti con i narcotrafficanti calabresi, dove venivano comprati grossi carichi.