La prima sezione della Corte d’appello di Palermo ha condannato undici imputati che rispondevano di associazione mafiosa, estorsioni, danneggiamenti e altri reati collegati alle attività della cosca di Brancaccio, secondo quanto emerso nel processo, da Luigi Fabio Scimò. Sei gli assolti: fra di loro Salvatore Li Muli, Pietro Mendola e Rosalia Quartararo, difesi dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Antonio Gargano: il Gup li aveva ritenuti colpevoli della fittizia intestazione di beni della Li Muli Costruzioni, ora sono stati scagionati perchè il fatto non costituisce reato. Assolti anche Rosalia Feliciotti (aveva avuto 2 anni e 4 mesi per reati usurari), Pietro e Paolo Rovetto, padre e figlio, condannati rispettivamente a 2 anni e 4 mesi e a 3 anni e 4 mesi, che rispondevano di altre contestazioni.
Il processo è denominato Maredolce 2 e secondo la ricostruzione del pm Francesca Mazzocco, oltre agli affari del pizzo e del reimpiego di capitali, i boss avrebbero fatto affari anche con il business delle slot machines. In primo grado, il 28 settembre 2020, le condanne da parte del Gup Michele Guarnotta erano state diciassette per quasi 120 anni di carcere, scesi adesso a circa un secolo. Assoluzioni a parte, infatti, il collegio presieduto da Adriana Piras, a latere Mario Conte e Marcella Ferrara, ha applicato alcuni sconti di pena ma ha anche aumentato la condanna - col meccanismo della continuazione, cioè la sostanziale unificazione di due sentenze - per il capo mandamento, Scimò, passato dai 14 anni e 4 mesi del primo grado agli attuali 22 anni, 10 mesi e 20 giorni. I giudici hanno confermato la condanna più pesante emessa dal Gup, 16 anni e 8 mesi inflitti a Salvatore Testa, uno degli organizzatori della raccolta delle estorsioni, reggente fino a luglio 2019 della cosca di corso dei Mille. Ribaditi anche i 13 anni e 4 mesi inflitti a Giovanni De Simone, in affari con Scimò e Testa; 12 anni a Pietro Di Marzo, in contatto con la famiglia Barbaro di Platì (Reggio Calabria) per l’acquisto di 20 mila euro di hashish da far arrivare dalla Calabria; Patrizio Militello ha avuto ancora 11 anni e 4 mesi, Carlo Testa 4 anni e 6 mesi; Pietro Luisi 4 anni e 4 mesi (avrebbe anche lui comprato droga dai calabresi).
Riduzioni di pena per Aldo Militello (da 12 anni e 4 mesi a 11 anni 8 mesi), Lorenzo Mineo, che da 10 anni e 8 mesi scende a 8 anni; Enrico Urso (da 3 a 2 anni), Vincenzo Machì (da 2 anni, 2 mesi e 20 giorni a 2 anni). Urso avrebbe messo disposizione per i summit del mandamento di Brancaccio un appartamento di via Fratelli Campo 33. Anche lui, come la Feliciotti, è stato scagionato dalle accuse relative all’usura e da qui la riduzione di pena. Pietro Mendola aveva avuto 4 anni, il nipote Li Muli 2 e la moglie di Mendola, Quartararo, un anno e 4 mesi: i loro difensori in appello hanno dimostrato che la società la avevano costituta loro, che ne avevano capacità economica, senza Mendola, non per eludere le misure di prevenzione, ma semplicemente perchè lui era detenuto in carcere per mafia. I due Rovetto erano accusati di avere fatto insieme un furto, il 20 gennaio del 2018, ai danni del panificio San Giuseppe di via Galletti, dove furono rubati 120 euro. Accusa caduta così come quella mossa al solo Paolo Rovetto, titolare di un’agenzia di pompe funebri e coinvolto nell’operazione sulle tumulazioni irregolari al cimitero dei Rotoli: in Maredolce 2 era accusato di avere contribuito a redigere una serie di contestazioni per falsi certificati di morte. I giudici hanno ribadito le condanne ai risarcimenti in favore delle parti civili, tra cui la Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane; Confcommercio, Sicindustria, Centro Pio La Torre, Solidaria,Sos Impresa, l’associazione Antonino Caponnetto. Confiscate la ditta individuale Cascio Roberto e la società Megaslot.
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