Nino Agostino, il poliziotto che lavorava ai Servizi Segreti, ucciso dalla mafia il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie, voleva lasciare il suo ruolo operativo al commissariato e trasferirsi all’ufficio personale. Lo avrebbe confidato, prima di perdere la vita, a un collega, l’ispettore Salvatore Barbera, ex agente della squadra investigativa che ha deposto oggi davanti alla Corte d’assise di Palermo che celebra il processo per il duplice omicidio. Imputati sono il boss Gaetano Scotto, accusato del delitto, e Francesco Paolo Rizzuto, vicino di casa della vittima, che risponde di favoreggiamento. Ricordando l’ultimo colloquio con la vittima, il teste ha detto: «mi disse che era di turno dalle 8 alle 14. Ma l’ho visto pensieroso. Mi disse che non voleva più fare il poliziotto, che aveva famiglia e voleva fare altro». Il collega, vedendo l’amico preoccupato, avrebbe cercato di saperne di più, ma Agostino gli avrebbe risposto seccamente: «lasciami solo». La conversazione colpì molto Barbera che, dopo l’omicidio, la riferì ai superiori in una relazione di servizio. Il teste ha anche riferito che Agostino, pochi giorni prima di essere ucciso, gli aveva raccontato di aver visto vicino casa «un gruppetto di cinque persone accanto a una macchina e una moto nei pressi di un rifornimento di benzina» e «notò che alcuni di loro lo puntarono guardandolo male, tanto che salì in macchina senza fare benzina. Mi disse poi che in quella zona fu commesso un omicidio». Rispondendo alle domande della Procura generale, titolare dell’accusa dopo l’avocazione del procedimento, il testimone ha smentito di essere stato a conoscenza di una sorta lista di latitanti mafiosi da arrestare con indicate le taglie per ciascun boss. Il processo è stato aggiornato al 18 marzo.