Ragazzini che invece di andare a scuola contano soldi, maneggiano polvere bianca e aiutano i genitori a confezionare bustine di droga da spacciare. Bambini che ingeriscono sostanze stupefacenti e finiscono in ospedale. A Palermo le indagini di polizia e carabinieri stanno alzando il velo su un fenomeno che mette in allarme i servizi sociali e induce i magistrati della Procura dei minorenni a pensare a un provvedimento senza precedenti: l’allontanamento dei bambini dalle famiglie dove spaccio e consumo spesso si sovrappongono. I casi sotto osservazione sono cinquanta ma potrebbero presto diventare più numerosi. Non solo i bambini verrebbero trasferiti nelle strutture di accoglienza accreditate ma verrebbe anche disposta la misura della decadenza della responsabilità genitoriale. In questo caso si aprirebbero per i piccoli destini molto incerti.
Il procuratore generale Palma: "Dobbiamo difenderli"
«Abbiamo un imperativo categorico: difendere i più fragili», dice l’avvocato dello Stato nelle funzioni di procuratore generale Annamaria Palma nell’intervento all’apertura dell’anno giudiziario. È da tempo che a Palermo i riflettori sono accesi sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. La spinta viene da una ricognizione sull’obbligo scolastico. L’alto indice di evasione, che è del 27%, è il sintomo di un forte disagio e di una esposizione al rischio di coinvolgimento nei traffici criminali in una città dove, come titolava un giornale, «scorrono tonnellate di droga». Non a caso, segnala ancora Annamaria Palma, la Sicilia è ormai la terza regione italiana dove si spaccia di più e Palermo è la città con uno degli indici più alti di reati minorili: oltre duemila i procedimenti penali aperti negli ultimi tempi. In questo scenario i bambini sono vittime due volte: prima quando vengono coinvolti attivamente nei traffici e poi quando diventano soggetti vulnerabili come i cinque piccoli ricoverati in poche settimane in ospedale dopo avere ingerito sostanze stupefacenti.
I bambini dello Sperone costretti a confezionare le dosi
A fare scattare l’ultimo allarme è stata un’indagine che ha individuato 57 spacciatori nel quartiere Sperone, descritto dalle cronache come un «vivaio del crimine». L’inchiesta ha rimandato le immagini di gruppi familiari, bambini compresi, impegnati nel confezionamento delle dosi spacciate direttamente da casa oppure nascoste negli zaini usati per la scuola che non viene frequentata. La rete di spaccio viene guidata anche dal carcere. Anche questo ha accertato l’inchiesta sullo Sperone: alcuni detenuti davano ordini all’esterno usando smartphone introdotti in cella con la complicità di agenti penitenziari.
Don Scordato: "Servono progetti di prevenzione dal malaffare"
Ma l’allontanamento dalle famiglie è proprio l’ultima misura che si possa pensare? Don Cosimo Scordato, per 35 anni parroco nel quartiere Albergheria del centro storico, pensa che «l’intervento autoritativo debba essere accompagnato e magari preceduto da un progetto di prevenzione e di distanziamento dal malaffare». «Che fine faranno - si chiede - questi bambini? Credo che un progetto di recupero debba prevedere la salvaguardia dei piccoli e la costruzione di una barriera di resistenza sociale».