Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

L'omicidio dell'agente Agostino a Palermo, condannato l'ex poliziotto Paolilli

Vincenzo Agostino

Omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, il Tribunale di Palermo ha condannato l’ex poliziotto Guido Paolilli, citato in giudizio per il risarcimento del danno dai familiari dell’agente ucciso il 5 agosto 1989 assieme alla moglie. A chiedere il risarcimento del danno erano stati il familiari poliziotto ucciso, il papà Vincenzo Agostino, la madre Augusta Schiera (nel frattempo deceduta) e i fratelli Salvatore, Annunziata e Flora, tutti difesi dall’avvocato Fabio Repici. Il giudice monocratico Paolo Criscuoli - dopo un procedimento avviato a gennaio del 2020 - nella sentenza emessa il primo dicembre 2021 ha accolto la tesi avanzata dalla famiglia Agostino. «Nel caso in esame il diritto al risarcimento del danno, che in questa sede deve essere riconosciuto, è - si legge nelle motivazioni - conseguenza della condotta illecita posta in essere dal convenuto - Paolilli, ndr , (distruzione di cose della vittima di omicidio, e cioè di appunti manoscritti dello stesso inerenti l’attività di servizio, nell’ambito della conseguente indagine ad opera di un funzionario di ps) e della conseguente lesione, ad opera del Paolilli, del diritto dei congiunti dell’Agostino al lutto». Per questi motivi il giudice ieri pomeriggio: «condanna di Paolilli Guido - e la sentenza - al pagamento in favore di Agostino Vincenzo e Augusta Giacoma Schiera di euro 22746,00 ciascuno, oltre interessi dalla decisione al soddisfo; Condanna inoltre Paolilli Guido al pagamento in favore di Salvatore Agostino, Annunziata Agostino e Flora Agostino di euro 9099,00 ciascuno». Paolilli - difeso dall’avvocato Roberto Mariani del foro di Pescara - è stato anche condannato al pagamento delle spese di lite, quantificate complessivamente in 7000 euro. Scrive ancora il giudice, nelle motivazioni: «Gli attori, nel corso della istruttoria, hanno fornito elementi per ritenere provato che Paolilli, il quale in servizio presso una Questura del centro Italia «distaccato» presso la Squadra Mobile della Questura di Palermo ha partecipato alle indagini relative all’omicidio di Agostino Antonino e della moglie Ida Castelluccio, ha distrutto dei documenti che erano stati rinvenuti all’interno dell’abitazione dello stesso Agostino durante una perquisizione». La vicenda è stata oggetto di ripetute indagini da Parte della Procura di Palermo. Al momento per il duplice omicidio è stato condannato all’ergastolo, col rito abbreviato, il boss di cosa nostra, Nino Madonia, che ha presentato appello. Mentre è in corso, col rito abbreviato, il processo al boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio in concorso, e a Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. Nell’ambito delle indagini preliminari Paolilli nel corso di una intercettazione, parlando col figlio (anche egli poliziotto) disse: «Una freca di cose, che proprio io ho pigliato e poi ne ho stracciato, inc"?. "Inverosimile, per un duplice ordine di motivi, la tesi del Paolilli, - afferma il giudice della III sezione civile del Tribunale di Palermo - resa in occasione dell’interrogatorio formale, circa il rinvenimento di «cose» inutili che aveva ritenuto di distruggere. Il primo è relativo alla inattendibilità intrinseca: difficile ipotizzare che in occasione di un atto di pg un operante ponga attenzione a «cose» inutili e, peraltro, si adoperi per distruggerle, anzichè passare oltre nell’atto di indagine ovvero restituirle ai proprietari/parenti Il secondo è relativo alla inattendibilità estrinseca: difficile ipotizzare che a distanza di tanto tempo, a fronte di una domanda rivolta dal figlio, il propalante ricordi un dettaglio, secondo il suo assunto, così insignificante come il rinvenimento di oggetti di nessun rilievo immediatamente distrutti e lo riferisca in relazione alle dichiarazioni del padre della vittima che, invece, riteneva assai rilevanti detti manoscritti». «Deve, invece, ritenersi che - è il parere del giudice - il Paolilli abbia rinvenuto «cose» di cui però non si rinvenne traccia nei verbali di sequestro perchè «stracciate». Tali «cose», quindi, furono sottratte al vaglio degli altri investigatori e dell’Autorità Giudiziaria». Inoltre il giudice «motiva» la decisione di accoglimento del risarcimento del danno in relazione al diritto degli congiunti di Agostino al lutto: «Lutto inteso quale esplicazione del diritto dei parenti di poter conoscere la verità sulla tragica fine di persone care; espressione, in primo luogo, del diritto, di matrice costituzionale (artt.2 e 21), alla conoscenza. Fintanto che la verità è negata, perchè si impedisce di raggiungerla, la verità è «stracciata», come simbolicamente - scrive il giudice - avvenuto con le «cose stracciate» rinvenute a casa Agostino, ciò rende impossibile elaborare il lutto; ciò si avvera quand’anche le cose soppresse fossero state apparentemente irrilevanti (e resta il fatto che ad una lettura dei parenti e degli inquirenti potevano risultare tutt'altro che irrilevanti). Certo è che, comunque, la ricostruzione della figura della vittima, prima di tutto, per i parenti e, comunque per l’esito delle indagini penali, è stata mutilata dalla condotta del convenuto. Stracciare una cosa del defunto che può essere rilevante per ricostruirne la memoria, il vissuto e le cause della morte - si legge - assume una valenza di diretta lesione al sentimento dei parenti di pietà per il defunto stesso».

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