A Palermo anche per le feste di piazza c’è un rigido protocollo criminale da rispettare: dalla scelta dei cantanti ai posti in platea sino alla gestione delle riffe e dei banchetti per vendere bibite e panini. Una sorta di racket con l’obiettivo di fare soldi. Del business mafioso c’è traccia nei verbali di Giovanni Ferrante, l’aspirante collaboratore di giustizia dell’Acquasanta. «Gaetano Corradengo, che ha nelle mani una agenzia di cantanti neomelodici, ha voluto fare una festa nella parallela di dove si fa la festa di via Montalbo - mette a verbale Ferrante il 2 settembre -. Per l’occasione ha fatto venire Rosario Miraggio. Lui, diciamo che ha venduto dei biglietti... le persone diciamo si pagavano il biglietto per avere la poltrona in prima fila. Mi ha venduto dieci postazioni dove si potevano vendere birre, mettere i camion con i panini. Tutte ’ste postazioni me le ha vendute a cento euro l'una. Io le ho rivendute a duecento euro a postazione. Poi hanno fatto una riffa dove c’era in palio una Vespa Piaggio ed hanno preso un bel po’ di soldi, perché i biglietti erano tanti». Secondo i risultati di precedenti inchieste, Corradengo viene considerata una vittima delle estorsioni, tanto che gli verrà anche bruciata l'auto. Ma accade l'inghippo e dopo l'estrazione si presentano due vincitori. «Non si è capito come mai: il biglietto doveva essere uno, però i vincitori erano due - aggiunge Ferrante -. Mimmo Passarello gli ha accordato la situazione a Corradengo. Comunque Vespa non se n’è presa né l'uno, né l'altro. Corradengo si è soltanto raccolto i soldi. Io poi ci sono andato perché ci hannu a dari 'a Vespa, “pigghia du Vespe e ci duni due Vespe”. Cioè tu vuoi fare la truffa e mancu... Allora io mando a chiamare Mimmo Passarello. Il quale mi dice che Corradengo vuole regalare un giorno in più di festa, facendola durare tre giorni. Ma per organizzare un giorno di festa ci sono delle spese, perché c’è da pagare gli archi, le luci, un altro giorno di autorizzazione della questura. Sembra tutto a posto ma otto giorni prima Corradengo chiama Passarello e gli dice di annullare l’ultimo giorno di festa perché non poteva mandare più il cantante perché dice che il cantante aveva preso altri impegni e non poteva disdire. Se tu sei il manager del cantante, u sai che u cantante non ne può prendere... In quel frattempo noi per raccogliere i soldi di questa giornata di festa, il comitato mi ha chiesto se potevo dargli una mano a fare le riffe... Ma noi non ne avevamo fatte mai. Spunta che queste riffe ci servivano per i carcerati, un casino. Comunque dico a mio figlio e a Lino Sciacca di aiutare il comitato per fare le riffe per vedere di raccogliere più soldi possibili per farglieli avere al comitato per questa giornata di festa». C’è da trovare una soluzione per trovare soldi e un cantante. «Gaetano Corradengo si era fatto grande per fare ‘sta cosa e ni fici pagari i danni a nuatri. Allora io chiamo un ragazzo e gli dico di andare da Corradengo e dirgli: o ci manda il cantante o prende tremila euro e me li manda per il danno che ha combinato che glieli diamo al comitato. Qualche altro cantante si è trovato, ci sono voluti settemila euro per quella giornata. Ritorna il giovane e dice a me e a Passarello, che lo stavamo aspettando al negozio, “mi ha detto Gaetano Corradengo che ha registrato tutta la conversazione, se ne sta andando dai carabinieri e ci sta denunziando tutti”. Va bene, a posto, lascialo andare. La sera stessa io ci fici abbruciari la macchina a Gaetano Corradengo. Aveva una 500, però non mi ricordo a chi gli ho mandato, comunque sono stato io a fargliela bruciare». Giovanni Ferrante racconta che nella zona di via Montalbo ci sono due-tre che «campano» facendo le riffe. «Allora il comitato gli ha chiesto a ’sti ragazzi se potevano fare la cortesia di fare una riffa ciascuno la settimana per fare avere un po’ di soldi. Dice, collaboriamo come fanno i commercianti, che la settimana che escono i cinque euro, chi esce dieci euro, chi esce due euro, quello che gli vogliono dare gli danno, onestamente mica loro chiedono. Ce n’era uno che non voleva uscire, né voleva fare... né fare la riffa, né dare questo contributo. Ho chiamato io questo, che tra l’altro è un parente mio, è un cugino mio. Siccome faceva in via Montalbo pure dei danni con i ragazzi, per rimproverarlo gli ho levato il motorino, ma che poi gli ho ridato. Qualche ora dopo glielo ho ridato. Era una punizione che volevo dargli. È tosto, è un rompiscatole là nella zona». Ferrante, esperto di cavalli, racconta anche di corse truccate e di scommesse. Ricorda di due gare all’ippodromo di Albenga, in Liguria, e di fantini pagati per garantirsi il risultato grazie a un intermediario. Un sistema per racimolare soldi grazie alle scommesse. «Gli diedi 3.500 euro in contanti. Era il favorito che non si voleva accordare, voleva il premio come favorito, cioè voleva pagato in contanti il premio, il primo premio. Rinunciava a vincere e al premio. Siccome il ministero non è che lo paga subito il premio, lo paga dopo mesi, era un premio milleottocento euro il primo premio, perché era una corsa scarsa. A Palermo c’era chi scommetteva per noi - spiega Giovanni Ferrante -. Noi facevamo trio, tre cavalli. In quella circostanza ci sono rimasti intorno ai diecimila euro».