Il tribunale del riesame di Palermo ha revocato l’obbligo di firma imposto dal Gip al poliziotto Fabrizio La Mantia, indagato nell’operazione «Dirty Cars», sul riciclaggio di automobili, anche di lusso, rubate a Napoli e trasportate a Palermo, anche grazie - secondo l’accusa - alla complicità di appartenenti alle forze dell’ordine. Nei confronti di La Mantia, difeso dall’avvocato Gioacchino Genchi, la Procura aveva chiesto l’arresto, ma il giudice si era limitato a imporre l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, adesso revocato dal collegio presieduto da Alessia Geraci, a latere Cristina Denaro e Rocco Cocilovo. La decisione è stata adottata dopo l’incidente probatorio sui dispositivi elettronici dell’agente indagato, sequestrati dalla Squadra mobile di Palermo. Genchi, che in passato aveva svolto l’attività di super consulente informatico per conto di varie Procure e uffici giudiziari, ha fatto analizzare anch’egli, nell’ambito di complesse indagini difensive di tipo tecnico, i computer e gli smartphone usati da La Mantia. Durante il sequestro, quando i cellulari dell’indagato si sarebbero dovuti trovare sigillati, qualcuno li aveva accesi e, secondo la difesa, avrebbe agito nelle chat in orari notturni. L’avvocato Genchi ha allora ottenuto dal Gip l’esecuzione di un incidente probatorio, che ha impedito la consulenza unilaterale ordinata dal pm: il perito nominato dal giudice ha accertato che, in effetti, dopo il sequestro, erano stati eseguiti diversi interventi non autorizzati nelle chat di WhatsApp. Era così risultata alterata l’integrità e la completezza dei messaggi, oltre al contenuto dei backup presso il cloud di WhatsApp, perchè il cellulare, mentre si trovava sequestrato, era stato riacceso, manipolato e nuovamente spento più volte.