La Direzione investigativa antimafia di Palermo sta indagando su un secondo episodio di corruzione, ancora formalmente non contestato a Vincenzo Bonanno, Daniela Pisasale e Emanuele Gaetano Caruso, le tre persone arrestate in flagranza giovedì scorso per una tangente che sarebbe stata pagata a Bonanno, dipendente della Rap e coordinatore tecnico della discarica di Bellolampo, che raccoglie i rifiuti della città di Palermo e di numerosi comuni della provincia. Prima della dazione di 5 giorni fa, legata, secondo l’accusa, a vicende relative ai trattamenti dei rifiuti effettuati per conto della Rap dall’azienda Eco Ambiente srl di Daniela Pisasale, c'era stata una prima mazzetta che sarebbe stata ricevuta da Bonanno in un bar di via Turati, a Palermo, il 28 maggio scorso. La Dia aveva ricostruito l’episodio grazie alle intercettazioni ma non era riuscita a intervenire tempestivamente, perchè Pisasale e Bonanno si erano scambiati la busta contenente il denaro lontani da occhi indiscreti, nell’anticamera del bagno dell’esercizio pubblico. La scena era stata ricostruita solo ex post, grazie all’impianto di videosorveglianza del bar, ed era così venuta meno la flagranza, che invece giovedì scorso, in piazza Sant'Erasmo a Palermo, aveva consentito agli investigatori di arrestare sul fatto le tre persone. Bonanno aveva ammesso, sul momento, di aver ricevuto i soldi e aveva sostenuto che nella busta ci fossero 10 mila euro, mentre invece ce n'erano la metà: 5000. La Direzione distrettuale antimafia, che indaga anche sugli interessi di Cosa nostra nel mondo dello smaltimento dei rifiuti, sostiene che Bonanno sia stato pagato per il suo costante interessamento nell’"accelerazione» delle fatture in favore della Eco Ambiente da parte della Rap, Risorse ambiente Palermo, l’azienda che cura l’igiene urbana nel capoluogo siciliano. In questi giorni saranno sentiti come testimoni una serie di dirigenti che dovranno spiegare gli aspetti amministrativi che avevano consentito alla Eco Ambiente di incassare 363 mila euro nel 2018, quasi un milione l’anno dopo e circa due milioni e mezzo nei primi sette mesi di quest’anno, per il trattamento di una frazione dei rifiuti indifferenziati di Palermo, trattati in un impianto di Alcamo (Trapani). Proprio in quella città c'era stata l’origine dell’inchiesta, con le prime mosse relative all’operato di Vito Nicastri, imprenditore al centro di numerose inchieste, già chiamato «il signore del vento» e destinatario di una confisca da un miliardo e 300 milioni di euro, decisa anche sul presupposto che Nicastri, specializzato nelle energie alternative, fosse un fiancheggiatore di Matteo Messina Denaro, superlatitante di Castelvetrano (Trapani). L’altro presupposto che conduce a Cosa nostra è la parentela tra Caruso e Giuseppe Mirenna, originario - come il nipote - di Paternò (Catania), due volte condannato per mafia e già sorvegliato speciale. I tre indagati per corruzione, Bonanno, Pisasale e il suo convivente Caruso, ieri hanno avuto gli arresti domiciliari.